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giovedì 20 agosto 2020

Ho conosciuto Bong Joon-ho

23:55

 Non di persona, chiaramente, anche se qualcuno potrebbe dire che c'è talmente tanto del suo pensiero nei suoi film che dopo averli visti sembra davvero di conoscerlo di persona. Quello che intendo è che sono arrivata come al solito molto in ritardo sul resto del mondo ma dopo questi chiacchieratissimi Oscar 2020 ho conosciuto quello che in pochi mesi è diventato uno dei miei registi preferiti di sempre. Proprio io, che di cinema orientale so poco e nulla. 

Chiacchieriamone insieme, senza che io abbia la pretesa di recensire le cose grandi che ha fatto ma con la voglia di condividere un nuovo amore, ché si sa che quando le cose sono all'inizio è tutto amplificato.

POSSIBILI SPOILER

Io in realtà di quel bel ragazzo qua con degli occhialetti che sembrano quelli da lettura di Bersani e con la sciarpina da compagno che ascolta De Gregori avevo visto Okja in tempi non sospetti, ovvero subito dopo la sua uscita su Netflix. Oggi lo so che il film è perfettamente integrato in tutta una serie di tematiche care al regista, ma allora mi era "solo" sembrato un modo diverso e freschissimo di affrontare un tema fondamentale come quello degli allevamenti intensivi. Non l'ho rivisto per preparare questo post perché la vostra amichevole blogger di quartiere ha un cuore solo e già è malmesso, infierire sarebbe ancora più masochista dei suoi standard.

Ma insomma arriva il 2019 e arriva Parasite, e il mondo trema. Zitto zitto buono buono, costruendo in silenzio un percorso coerente e in costante crescita, Bong Joon-ho ha tirato fuori il carico da mille e lo ha fatto con una commedia. Vedremo nel corso del post quanto gli piace giocare con i generi e plasmarli in base alle sue necessità, ma per quanto cupissima Parasite è una commedia. Dopo essermi fatta a mia volta investire dalla valanga che questo film è stato per tutto l'Occidente, ho capito che dovevo andare oltre, perché quel signore qua ha tante cose da dire e io le volevo sentire tutte. 

Quella con cui ho cominciato è la summa di tutta una carriera, un film in cui tutti i suoi temi e i suoi ideali sono così narrati a fondo che si scava e si finisce sottoterra, dove vive la famiglia Kim. 

E qui arriviamo al primo tema che torna in ogni film e che ogni volta è esplorato in un modo nuovo: la famiglia. A partire da Mother, le dinamiche famigliari sono le protagoniste. Madri disperate, padri distratti o distrutti, nonni affettuosi, fratelli. La famiglia è il nucleo intorno a cui ruota tutto, che riesce ad essere causa dei problemi e soluzione degli stessi. La mamma di Mother e il papà di Memories of murder, per esempio, si trovano nella stessa situazione: un figlio con una disabilità che nonostante (o forse proprio a causa di) questa viene arrestato e accusato di un reato orrendo. I genitori non mettono mai in dubbio l'innocenza del figlio, e il loro dolore è ritratto sullo schermo con la potenza della disperazione e dell'impotenza. Non che si cada mai nella commiserazione, non parliamo mica di un pivellino. Poi i film prendono due pieghe diverse e le storie si allontanano, ma il rapporto con i figli è il medesimo. Così come lo è quello tra il padre della bambina in The Host e, appunto, sua figlia. (Mi perdonerete se non ricordo i nomi, non ho ancora dimestichezza con il coreano e fatico come una dannata anche solo a riconoscerli). Sempre nel monster movie è da strapparsi il cuore anche il rapporto tra il nonno della bambina e quel figlio disgraziato. In Snowpiercer gli basta poco: una scena sola con la mia amata Octavia Spencer e l'amore di una madre per il figlio è già tangibile. Questo modo che ha di mostrare l'amore familiare è così intimo e quotidiano che non ha bisogno di scene melò con la musica dolce e gli sguardi affettuosi. L'amore si comunica con le azioni e nella condivisione della difficoltà. 

E con questa zompata ci agganciamo al secondo tema: i poveri, i parassiti della società. I suoi protagonisti sono gli ultimi, sempre. Gli ultimi del treno, gli ultimi della catena alimentare, gli ultimi della società. E lui questo ritratto della desolazione lo fa spietato: questo è un uomo che quella condizione lì la conosce. Gli ultimi tali sono e tali devono restare, non importa quanto provino a risalire la scala: basta un acquazzone (Parasite) per riportarli dove il mondo vuole che stiano: in disparte, al loro posto, in fondo al treno. Le scarpe, del resto, non te le metti in testa, come dice Tilda Swinton in quel capolavoro che è Snowpiercer. Mamma come mi piace, non ve lo so spiegare. Con il suo debutto americano poteva fallire e farsi un male cane e invece che bomba di film ha tirato fuori. Gli ultimi sono i poveri economicamente, ma anche i disabili: i protagonisti di Mother e Memories of murder sono due giovani con un ritardo, in difficoltà con la vita degli adulti. E quindi la polizia se li prende, se li tortura, si prende gioco di loro, li accusa per dichiarare i casi chiusi e le proprie coscienze pulite. Quanto non piace la polizia a Bong Joon-ho, quanto ne esce male dalla sua opera. Non sarò io a contraddirlo, poco ma sicuro. Lui, bello come il sole e con quel sorrisino buontempone che ha, ha ritratto poliziotti incompetenti, grotteschi, stupidi, e al tempo stesso tanto vigliacchi da abusare del proprio potere sulla parte più fragile della società. E quindi ecco che il protagonista di Mother viene investito da una macchina e quando va a pescare i proprietari del lussuoso Mercedes che lo ha preso in pieno finisce che il finestrino rotto glielo deve pagare lui. Questo concetto viene poi espanso in The Host, quando sembra essere il governo intero a prendersi gioco della popolazione, creando un virus inesistente. Chiaramente è Parasite l'emblema della lotta di classe, perché porta la conversazione ad un livello ancora più profondo: noi poveri siamo così manovrati da chi sta sopra di noi che finiamo per farci la guerra tra di noi anziché unirci per combattere per un mondo più equo. Entrambe le famiglie povere potrebbero campare sulle spalle dei ricchi e quelli sono così fuori dal mondo che avrebbero potuto non rendersene conto, mai. Eppure siamo così istruiti a volerli raggiungere, questi ricchi, che ci dimentichiamo che non è giusto esistano. Un lavoro di analisi delle ingiustizie della società che parte dal film numero uno e che con l'ultimo gli ha dato uno degli Oscar più meritati di sempre. 

La critica alla società capitalistica nel suo insieme, l'attenzione all'ambiente, i ritratti famigliari, la lotta di classe, la diversità, sono temi che in lui ricorrono sempre. Eppure, il pregio più grande della sua cinematografia è che nel corso del tempo il regista è stato in grado di raccontarcela sempre in un modo nuovo. Bong Joon-ho ci ha parlato di temi fondamentali con un thriller. Poi con un film distopico. Poi con un monster movie. Poi con un giallo. Poi con una commedia nera. E non ne ha sbagliato uno. Prende i generi e li plasma a suo piacimento, tirandone fuori ogni volta qualcosa che sia innovativo nel singolo genere ma perfettamente coerente nel suo percorso. The Host, per esempio. Lo si guarda in una serata cazzona con gli amici ed è un bellissimo monster movie, con un ritmo magnifico, divertente ma con la giusta punta di commozione. (io pianto come un vitello ma so che non faccio testo perché piango sempre) Lo si guarda bene ed è una riflessione profonda sul rapporto tra uomo e natura, su cosa abbiamo sbagliato, su cosa sbagliamo ancora. Snowpiercer, il suo esordio oltreoceano è un film distopico con un'azione serratissima per tutta la durata, che non molla un secondo. Eppure è un immenso film sulla lotta di classe. Forse è sbagliato dire "eppure" perché sembra io prima di Bong escludessi la possibilità a priori, ma lui per primo mi ha mostrato che il cinema è più malleabile dello slime con i glitter dei me contro te. Lo prende, lo gira, lo volta, lo pirla, ci fa quello che vuole, perché così potente è il suo messaggio che troverà sempre il modo di dirlo al mondo. 

Non ce n'è uno dei suoi film che a me non sia piaciuto. Quei dolorosissimi ritratti genitoriali in Mother e Memories of murder non me li dimenticherò mai. La scena dell'allevamento di Okja ce l'ho tatuata nelle palpebre. Il finale di Snowpiercer, quello (che male al cuore pensarci) di The Host, la lettera di Parasite. Il cambio di tono che sa dare alle sue pellicole da un secondo all'altro è sempre nuovo, sempre diverso, sempre efficace. Non lo senti mai arrivare, ma quando arriva ti tramortisce e alla fine sai che hai guardato un film ma è stato come vederne due, tre, dieci. Ci ha dato nel corso del tempo la dimostrazione che non esistono generi leggeri e altri più seri, che chi ha un messaggio da mandare ha un milione di modi per farlo e che se nel farlo ci metti il cuore la differenza si vede eccome. Parte in un modo, finisce in un altro, riscrive le regole dei generi, usa il cinema come una sua marionetta e io di quello spettacolo qui che con la sua marionetta sa dare non sono mai sazia. 

sabato 8 luglio 2017

#CiaoNetflix: Okja

13:07
Non mi sono mai sentita particolarmente vicina alle tematiche animaliste. Ho due gatti che amo incredibilmente, ho sempre avuto gatti da che ho memoria, e sbatterei ai lavori forzati quelle bestie che usano violenza sugli animali perché non c'è niente che mi faccia più girare i cosiddetti della gratuità del male. Eppure mi tengo volentieri alla larga da quelli che 'I cani sono meglio delle persone' o da quelli che trattano meglio il loro animale rispetto alle persone di cui sono circondati (e il mondo di quella gente qui ne è pieno).
Okja, però, non è un cane, è un maiale. Un maialone dalle dimensioni esorbitanti, più simile ad un Totorone che ad un suino, dalle vaghe fattezze ippopotamesche, e non sono stata in grado di resisterle, anche alla luce delle recensioni entusiaste che sono girate sul web.


Okja è, come vi dicevo, un maiale. La sua razza è stata creata in laboratorio con lo scopo apparente di risolvere i gravi problemi di fame nel mondo. Alcuni esemplari sono stati spediti in giro per il mondo, da piccoli fattori che avevano il compito di crescere i super maiali. Noi conosciamo la storia del maiale spedito in Corea e cresciuto da una bambina, Mija, e da suo nonno. Quando la multinazionale tornerà in Corea per riprendersi Okja, la bambina non sarà disposta a lasciarla andare così facilmente.

Poteva essere uno di quei filmettini della mutua sul rapporto con i nostri amici animali (Paul, Beethoven, Io e Marley...) e causare in me quell'irritazione che il mio snobismo conosce così bene. Avrei potuto interromperlo a metà, presa dalla noia.
Invece mi sento come quando guardo un film dello Studio Ghibli: affascinata, commossa, piena di buoni sentimenti da un lato e incazzata nera con l'umanità dall'altro.
Okja ricorda un po' Nausicaa della valle del vento se vogliamo, nel modo in cui prima ti trascina in un mondo favolesco e poetico per poi prenderti per mano e mostrarti che non è vero niente, che anche gli idealisti possono essere degli stronzi, che una piccola buona azione non può surclassare il male che gli altri fanno, che i buoni non esistono, che sì Jake Gyllenhal fa tanto ridere ma alla fine è il più fetente di tutti.
Con il grottesco fa inorridire, in un modo che con me pochi altri hanno ottenuto.
In mezzo a tutto questo, alla denuncia, allo scoprire lo squallore di un sistema sbagliato in ogni suo aspetto, il barlume di luce che sta negli occhi di Mija. Mija non molla un cazzo. Vuole il suo maiale e se lo va a prendere, e vi voglio proprio vedere a fermarla. È stata tradita più volte, è stata ingannata, è stata arrestata, ma non sia mai che qualcosa la allontani dal suo sogno: tornare alla semplicità della sua vita con il suo maiale e il suo nonno. Combatte con i denti per la più umile delle esistenze, senza pretese nè lamentele, semplice e dolcissima. Non si è mai fermata a piangere in un angolino, come facciamo noi ogni giorno quando vediamo i documentari su come vengono trattati gli animali negli allevamenti intensivi per poi condividere la notizia su fb, scambiarci le reazioni tristi e poi tornare alla nostra grigliata del primo maggio. È una storia di amicizia straordinaria.

Badate bene che mangio pochissima carne ma non sono vegetariana. Ogni tanto, però, mi capita di pensarci, a cosa alimento grazie alla mia alimentazione (sorry not sorry), e di cercare di fare decisioni più ponderate.
Oggi, però, ci penso un po' di più.

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