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sabato 6 febbraio 2016

La Cueva

16:01
VI ROVINO IL FILM. LETTORI AVVISATI...


Cara, cara Bego,
io sono te, e tu sei me.
Una rognosa piattola con un bassissimo livello di tolleranza.
Ti ho vista e ti ho amata.
Ti ho vista avere paura di volare, e ti avrei abbracciata, perché devi sapere che a me manca il respiro solo a guardare l'inceneritore di Brescia perché è alto ed azzurro, pensa un po'.
Ti ho vista arrivare a Formentera e anziché lanciarti in banalotto (seppur sempre gradevole) divertimento da spiaggia ti ho vista lanciarti con i tuoi amici all'avventura, in un campeggio abusivissimo e isolato. Le mie avventure rispondono al nome di Airbnb, ma insomma, è lo spirito a valere.
Ti ho visto, che tu in quelle grotte mica ci volevi andare. E io, come te, pensavo a che idea del cazzo fosse entrare in una grotta sconosciuta sperando che le cose finissero bene. Non succede mai.
Certo, hai una compagnia terrificante, Bego, amici infimi e con uno scarsissimo quoziente intellettivo, ma non è questo il punto del nostro disquisire.
Sei stata la più rompicoglioni del film, ma sei stata realissima. Basta con i finti eroi, con l'ostentazione di un sangue freddo che avranno sì e no cinque persone al mondo.
Se ci perdessimo in una grotta e stessimo morendo, la maggior parte di noi persone reali farebbe quello che hai fatto tu: si accoccolerebbe per terra a piangere tutte le proprie lacrime sperando nella Divina Assistenza. Ci lasceremmo morire, salvo poi supplicare pietà nel momento in cui la morte si avvicina davvero. E per questo ti ho voluto bene, e ho sofferto tanto con te. Per te. Per quella scena un po' forzata, forse, ma che non escludo sia possibile. Stavano morendo di fame e parlavano di te come se fossi già carne da macello. E invece eri lì e li sentivi parlare di mangiarti. Anche il destino (o il culo, se vogliamo parlare di cose in cui credo davvero, ché il destino è una cagata cosmica e lo sappiamo entrambe) ti si è rigirato contro.
Ho sofferto con te e con la tua Celia, e anche un po' per quella faccia di merda dell'amico vostro pelato. Ti stava mangiando una gamba, ma ha chiesto di non essere ripreso proprio in quel momento. Come se l'oscurità togliesse realtà a quello che stava accadendo: se non lo vedi non è reale.
Ho voluto bene anche a lei, Celia, silenziosa e senza pretese per tutto il film, da bravo personaggio che doveva contrapporsi a te, per poi tirare fuori un misero e fallimentare tentativo di rivalsa.
E allora via, inseguimenti nelle grotte, minacce di morte, insulti.
Tra esseri umani che avevano invece un bisogno estremo di collaborare.
Meno male che sei morta prima, Bego.
Meno male che non hai visto la bassezza dell'animo umano, quella che tiriamo fuori solo quando salvarci la pelle diventa più importante di qualsiasi altra cosa, della legge statale e di quella morale. Conserva l'immagine dei tuoi amici fuori dalla grotta, cinque pirla dall'ironia un po' infantile e dall'ubriacatura facile.
Quello che c'è dentro quella cueva non ti sarebbe piaciuto.

domenica 24 gennaio 2016

Cinema Italiano I love You: Shadow

14:41
SPOILEEEEER! NEI SOTTERRANEI, SPOOILEEEER!
Io ve l'ho detto.


Quando i cinebloggers chiamano io sto sempre lì, in prima fila, col braccio alzato a scalpitare per partecipare sempre. Stavolta Alessandra, sempre di Director's Cult, propone il cinema italiano, tanto per ricordare a chiunque bazzichi da queste parti che non siamo solo Checcozaloni.
E io non è che mi drogo.
Shadow è un film italiano davvero, fidatevy.
Diretto dal buon Zampaglione, tanto per darvi conferme.

Premessa, io sono contenta che Zampaglione esista e si sia messo dietro la mdp.
Il catalogo italiano offre commedie che generalmente mal tollero oppure filmoni intensi e importanti pregni di significato e di denuncia sociale. E va bene, queste cose vanno bene, ci vogliono. Ma se sono solo queste è mica vero che al quarto film italiano di fila io devo sbattere ripetutamente la testa contro il muro?
CHE NOIA.
Il mio caloroso benvenuto va quindi a qualsiasi proposta che si discosti da questo percorso che chissà quali circostanze hanno contribuito a creare.


In Shadow abbiamo un reduce di guerra partire per un viaggio per l'Europa, per lasciarsi tutto alle spalle. Durante una gita in bici in montagna incontra una giovane, con la quale metterà i bastoni tra le ruote ad un paio di cacciatori che non la prenderanno molto bene.
La vera morale del film ti insegna che anche quando credi di essere il più cattivo, ci sarà sempre qualcuno più cattivo di me.
E se ti prende sono volatili senza zucchero.

Non mi sono mai messa a parlare dei significati metaforici di un film perché io poetica mai. Non inizierò certo adesso, mi limito a linkarvi questo post de Il Buio in Sala. Nono solo il buon Giuseppe fa una delle sue inimitabili analisi, ma lo stesso Zampaglione nei commenti ha illustrato i suoi intenti.
Niente di quello che potrò mai dirvi io potrà mai valere più di quello che ha detto chi 'sto Shadow l'ha creato.

Quindi, come al solito, parliamo di sensazioni a pelle. (E a proposito di pelle vi comunico che io, sempre sul pezzo, scopro la storia della pelle dei rospi solo guardando questo film, #Zampaglioneperilsociale)
La mia, di pelle, non è ricoperta di droghe, il che è utile se devi lasciarci entrare le sensazioni che ti sta trasmettendo un film. In questo caso avrei quasi preferito di essere un agglomerato di sostanze illecite, perché sotto la pelle mi sono entrati sporcizia, malanno, senso di colpa. Mi è penetrata nei pori l'aria sporca, scura, malsana che si è respirata nell'ultima parte,
Mi si è risvegliata una profonda repulsione per la guerra, che credo sia insita nell'essere umano. Mi è salita la paura, ho sentito il pianto di un bambino e mi sono venuti i brividi.
E quella palpebra tagliata, rivista con la consapevolezza che non fosse una tortura casuale è raggelante.
Con me Shadow funziona, alla grande.


E poi, lo spoiler.
Avete presente quando un film si avvicina al finale e vi ritrovate a dire: 'Adesso è tutto un sogno, eh, minimo!'
Ecco, stavolta lo è davvero.
Incredibile.

Non sono ovviamente la sola ad avere parlato di cinema italiano, però. Ci hanno pensato anche loro:
Solaris: Io sono l'amore
White Russian: Non essere cattivo
Pensieri Cannibali: Non essere cattivo
Director's Cult: Il volto di un'altra
Non c'è paragone: Basilicata Coast to Coast
In Central Perk: Maicol Jecson
Bollalmanacco: Almost Blue
Delicatamente perfido: Italiano medio

martedì 5 gennaio 2016

Mi metto in pari: Goodnight Mommy

13:41
HO TRATTENUTO PER SETTIMANE QUELLO SPOILER Lì GIGANTESCO, FATEMI FARE ALMENO QUESTO QUA.

Siamo a gennaio e se come me siete usciti da un tempo (relativamente) breve dalle scuole ricorderete che a gennaio si inizia la maratona per recuperare i debiti.
Su MRR, quindi, approfittiamo del primo mese di questo nuovo anno per recuperare tutto quello (se va beh, tutto) che ci siamo persi l'anno scorso.
Iniziamo con Goodnight mommy, film quasi assente dalle vostre classifiche di fine anno. Il Bradipo, però, lo ha messo tra i migliori. Ad accrescere ulteriormente le mie già notevoli aspettative arriva il trailer.


Due gemelli,  una madre che è la loro ma forse no, una splendida villa immersa nella natura austriaca, pochissime parole (di cui una, 'Lukas', ripetuta fino allo sfinimento), solo un numero impossibile da contare di sguardi.
Un minimalismo incredibile, che in altre circostanze mi avrebbe condotta dritta dritta tra le braccia di Morfeo e che invece questa volta mi ha massacrata emotivamente.

È di una lentezza impegnativa, eh, sto Goodnight Mommy, ma è altrettanto pieno di fascino. È un film in cui si entra nel vivo del dolore, nel punto in cui la ferita fa ancora malissimo, e ci si ficca un gigantesco coltello dentro, e lo si gira, lo si continua a girare con incredibile sadismo.
Non che sia un film bastardo, eh.
Non è di quelli che alla fine ti fanno venire voglia di prendere il dispositivo su cui lo hai guardato per fargli fare la fine della Gabbianella a cui il Gatto ha insegnato a volare.
È piuttosto uno di quelli che ti fa credere di essere una cosa per poi rivelarsi tutt'altro.


Sembra quasi un home invasion, sembra che una sconosciuta si sia presa quel ruolo di madre che non era il suo. E invece è la storia di una donna a cui il ruolo di madre è stato strappato violentemente. E le resta solo la parte più difficile, la ricostruzione di quello che resta a chi è sopravvissuto. Deve farlo in quanto madre, anche se posso solo provare ad immaginare quanto possa essere stato doloroso continuare a preparare i pasti anche per il figlio morto, solo per assecondare il desiderio di quello sopravvissuto.
Ci sono piccoli dettagli che, tornati in mente a fine visione, fanno presa sul cervello e sul cuore: per esempio il momento in cui la mamma per dimostrare l'evidente assenza di Lukas mostra ad Elias come ci sia solo un cambio di vestiti, e mostrare a noi spettatori che quel singolo cambio lo indossano a turno entrambi i gemelli, scambiandosi poi l'abbigliamento a metà film, è stato commovente.

Il centro del tema dell'identità del film sembrava essere questa donna bendata (funzionano un casino ste bende, che angoscia), ma si rivela poi essere Elias, che deve ricostruire se stesso come individuo a sè stante, e non più come fratello di Lukas.
Straziante ed inimmaginabile.


Siamo dalle parti di The Orphanage, qui lo dico e qui non lo nego.


giovedì 15 ottobre 2015

Spring

15:01
All'inizio dell'anno ho visto un film, si chiamava Honeymoon. 
Ogni tanto ci ripenso e ogni volta vorrei piangere. Mi aveva rubato cuore e sentimenti e oltretutto, dettaglio non da niente, quando mi torna in mente il volto di lei che spunta dalla barca dopo avere fatto quello che ha fatto mi piglia un brivido infinito dietro il collo di quelli che ti arricciano i capelli.
E per arricciare i miei serve un miracolo.

Per questo quando si è iniziato a parlare sul web di Spring io ho preso tempo. Non sono dotata di sentimenti ricaricabili, non posso permettere al cinema di privarmi di ogni lacrima, me ne devo conservare qualcuna per dare una parvenza di umanità alla mia vita reale.
Quindi, esattamente dieci mesi dopo, posso dirmi pronta ad affrontare la visione di un film che è piaciuto a TUTTI.
Se non mi piace son fregata. Mi tocca chiudere il blog.


Spring è la storia di Evan, che si rifugia in un paesino della Puglia dopo che la sua vita in California ha smesso di avere un senso. Sua madre è appena morta, suo padre manca da tempo, per colpa di una rissa è impelagato con la polizia e ha perso il lavoro. In Puglia trova una giovane, Louise, con la quale nasce una storia. Non è tutto così idilliaco come sembra.

Quando l'horror decide di incontrare l'amore lo fa con una raffinatezza che se per favore le commedie romantiche si vogliono spostare qui abbiamo discorsi profondi da fare, la porta è in fondo a destra, dove ci stanno sempre i cessi. Honeymoon, citato sopra, era un ritratto di coppia incantevole, Lasciami entrare (qui il post) riprendeva l'amore in un'età in cui forse parlare d'amore è un po' precoce ma senza dubbio adeguato, Spring parla di un amore che sta nascendo e che prima ancora di diventare tale si scontra con una realtà che potrebbe ostacolarne l'evoluzione. Tutti e tre sono di un'eleganza che lascia sgomenti.

La coppia che nasce in questo film in particolare, poi, riprende un po' le caratteristiche delle coppie degli altri due che ho elencato. La complicità e il divertimento sono quelli di Paul e Bea, la sincerità e la semplicità della comunicazione sono quelli di Eli ed Oskar.
Perché la cosa che più ho amato di questo film è stato che si parla un sacco.
Per ovvi motivi voi non lo potete sapere, ma io sono fissata con i dialoghi. Quando scrivo qualcosa la prima parte che mi viene in mente sono i dialoghi, quando parlo con le persone presto un'attenzione maniacale alle loro scelte lessicali mandando fuori di testa chi è costretto ad essere sottoposto a questo continuo esame da parte mia, cerco sempre di cogliere quello che si dicono le altre persone non perché sia curiosa delle loro vite ma perché le parole mi affascinano come poche altre cose al mondo.


Spring è un lunghissimo dialogo tra due persone che si stanno conoscendo ma che hanno scelto di non indossare maschere e far fruire i discorsi liberamente, con una naturalezza che gli invidio molto. Ci hanno provato, Louise soprattutto, ad interrompere questa relazione per tutelare chi non sarebbe stato in grado di affrontarne le conseguenze (e di nuovo, qui, l'amatissima Bea che nasconde al marito la verità su cosa sia accaduto nel bosco) ma tale era il loro discorrere, così fluido e spontaneo, da non poterlo trattenere oltre. Dal primo, sudatissimo, appuntamento, questi due hanno parlato, e parlato, e parlato, e guardarli entrare a parole sempre di più nell'intimità uno dell'altra è stato un piacere per il cuore e la mente.
Tanto quanto quella resa finale, con il sole che sorge e niente che cambia.
E nessuna parola detta più, perché a quel punto non ce n'era bisogno.

Come non c'è bisogno di sottolineare i piccoli difetti di ricostruzione dell'Italia che i due addetti ai lavori hanno fatto, Non sarebbe una critica utile a nessuno, e comunque lo splendore della Puglia fa passare in secondo piano il fatto che i contadini anziani è difficile che parlino un'inglese così fluente.
Un saluto dalla pallosa grigia e nebbiosa Pianura Padana.

lunedì 7 settembre 2015

A girl walks home alone at night

09:00
(2014, Ana Lily Amirpour)

L'avete visto tutti Johnny Depp a Venezia, vero?
Impossibile che non sia così, ne stanno parlando tutti. E' brutto, è ingrassato, ha infranto i nostri sogni, ha spento i nostri ormoni, e blablabla.
Parliamone.
Sono tutti così sconvolti perché non era esattamente quello che ci si aspettava. Perché non rispecchiava più quell'ideale che ormai viveva nelle nostre teste, perché era diverso da come credevamo sarebbe stato.
Sapete chi altro è così? A girl walks home alone at night.
Perché è un film sul vampirismo unico nel suo genere, che seppur citando e ricordando altre pellicole sul tema (ma mica possiamo vivere sulla luna, il mondo ci circonda e ci ispira, è naturale) è diverso da come lo avremmo creduto.

Siamo in Iran, in un'immaginaria cittadina chiamata Bad City. E' la raccolta dell'umanità più compromessa: tossici, spacciatori, prostitute, ragazzini costretti a elemosinare denaro. In questo ambiente nero si muove una ragazza, coperta dal suo chador, sotto cui nasconde capelli e segreti.


Esattamente come per l'arrivo di Johnny sul red carpet, avevo aspettative belle intense. Un po' perché blogger molto più competenti di me ne avevano parlato come di uno dei film dell'anno, un po' perché sapevo si trattasse di un film b/n sui vampiri. Ambientato in Iran. E tanto bastava a stuzzicare curiosità e fantasia (il Medio-Oriente è una di quelle zone del mondo che mi affascinano di più).
A fine visione vorrei avere le parole adatte per convincervi a chiudere questa pagina del vostro browser per invitarvi ad aprirne un'altra e cercare immediatamente questo film incantevole, ma non ne ho.
Vi basta sapere che è come Johnny Depp.
Diverso da come lo pensate.
Siamo abituati a vampiri resi glam da fenomeni di massa, al sangue talmente presente nelle pellicole da non spaventarci più, all'azione immediata e coinvolgente che non deve lasciarti respiro altrimenti il film è NOIOOOOOSO.
Ecco, questa giovane regista (è una donna! è una donna! in barba a voi maschilisti di sta grandissima ceppa di m, datele tempo e la signorina Amirpour vi mangerà in testa umiliandovi senza pietà) ha preso queste tre cose elencate sopra e le ha buttate dalla finestra. Violentemente proprio, credo abbia ferito dei passanti.
Ha girato un film introspettivo e intimista, lento fino all'esasperazione ma che riesce a non essere mai pesante, cupo, scurissimo, ma che paradossalmente scorre giù per la gola liscio e buono come lo yogurt alla nocciola della muller.
Ma soprattutto, ha girato un film SILENZIOSO. Le parole sono poche, ben studiate, il minimo necessario a darti un'idea di quello che accade tra i personaggi. Anche se gli occhi parlano molto di più. In particolare quelli della nostra protagonista, inquietante e silenziosa col chador addosso ed elegante come una giovane Ines De La Fressange con la sua maglia a righe e poco altro. La nostra amica Amirpour ha capito che il silenzio non è da temere come un nemico, lo usa come ciliegina su quella incantevole e fascinosa torta che è questo film dal titolo così interessante.


Esattamente come il povero Johnny, così chiacchierato perché, pensate un po', è invecchiato, e non è più il sexy trentenne tossico che si spatasciava sul letto con Kate Moss. E' diventato asulto, è tornato a concentrarsi sul girare film seri e smettere (spero una volta per tutte) di fare continuamente la macchietta di se stesso. Si è evoluto.
Spero sia la direzione del Cinema tutto, anche se, certo, almeno i capelli poteva lavarseli.


martedì 23 giugno 2015

Le streghe di Salem

08:20
(2012, Rob Zombie)

Ho fatto un grave errore, di cui sono pronta ad assumermi le mie piene responsabilità.
Sapete cosa ho fatto?
Ho guardato Le streghe di Salem in italiano.
Prima di rivolgermi uno sticazzone, vi prego di guardare questo film in italiano e poi abbiate il coraggio di venirmi a dire che non è terrificante. E lo dice una che non si scaglia contro il doppiaggio per presa posizione, eh.
Ma qui sfioriamo la caricatura, il grottesco.
Ci sono ottime probabilità che questo abbia leggermente inficiato la mia opinione, ma non conterei troppo su questo per salvarmi le chiappe.

Heidi fa la dj in una radio a Salem. Una sera le viene recapitato al lavoro un album, di un gruppo chiamato I Signori. Fin dal primo ascolto, però, pare che questa splendida (ironicissima) musica abbia avuto strani effetti sulla dj.


Siamo di fronte a due possibilità: o io non ci ho capito una mazza, che è sempre un'eventualità da non escludere, o l'ultimo lavoro di Zombie è una di quelle poderose stronzate che non si dimenticano alla svelta.
E con questo spero di avere concluso le parolacce.

Partivo con un'idea del regista - musicista abbastanza chiara, perchè provo un sincero affetto per i Firefly. Ho sperato fino in un ultimo che questo Lords of Salem fosse una caciara cazzona, che si prende poco sul serio ma goduriosa e divertente. Lo avrei amato, capito, se avesse avuto questi toni!
Invece no, si prende sul serio eccome. E allora non mi piace più. Perché i presuntuosetti certi del loro talento a me stanno simpatici, di solito. Quando il talento che tano esaltano c'è, però. Qui non ne sono troppo sicura.
Perché se Sheri Moon che cavalca entusiasta un povero caprone, o si dimena con Gene Simmons, dovrebbero essere importanti scene simboliche mi spiace, io non le ho colte. Non ho colto i simbolisti, gli sprazzi di autorialità, i riferimenti. Se tutto questo ammasso di scene conclusive, di immagini messe insieme con Windows Movie Maker doveva avere un qualche simpatico significato, io, nella sommità della mia ignoranza, non ci sono arrivata.
Videoclip musicali, di nuovo. Solo che se quel clima lì, da videoclip appunto, stava tanto bene sui vestiti dei Firefly, qua stroppia. E sembra senza senso alcuno.


Sapete che impressione mi ha dato?
Quella che mi aveva dato After Earth. Ovvero di essere un film costruito per l'esaltazione dell'attore protagonista (se là era il figlio di Will Smith, qui è la moglie del regista), che giunge al suo culmine nel momento in cui questa, rivestito il ruolo di Madonna nera, se ne sta in piedi estatica e, appunto, mariana, su una pila di donne nude. Ma non siamo tutti Freddie Mercury. (LUI è uno e trino, LUI starebbe bene idolatrato religiosamente, LUI, non Sheri Moon).

Certo, da un punto di vista strettamente estetico mi è piaciuto. Non sarà Grand Budapest Hotel (quello è proprio una perla, una gioia, un Caravaggio per lo sguardo) ma questa prepotenza di colori mi aggrada sempre. Però deve esserci almeno un contesto per questa esplosione cromatica, altrimenti se sei ispirato ci fai un quadro, non un film. Le immagini unite una all'altra col fil di ferro non mi dicono niente. Riesco perfettamente a comprendere le persone a cui è piaciuto e le loro motivazioni.

Semplicemente, non è il mio cinema.

giovedì 11 giugno 2015

Musarañas

11:26
(Esteban Roel, Juan Fernando Andrés, 2014)

Vi è mai capitato un periodo di freddezza?
Guardavo film ma mi lasciavano indifferente, mi mancavano le parole.
E qui lo sento, il vostro sospiro di sollievo.
Poi leggo di Musarañas.
Soprattutto, leggo Luis Tosar.
E il mio momento di silenzio finisce.

Montse è una giovane donna che vive rinchiusa in casa con la sorella minore. Non riesce a varcare la soglia di casa da anni.
Uno spiraglio di mondo esterno le si apre nel momento in cui soccorre Carlos, un vicino di casa caduto dalle scale, che da quel momento starà in casa loro fino a quando non si sentirà in grado di andarsene.


Prima d'ora non mi ero mai fermata a riflettere sul mio viso e sul modo in cui lo uso. Adesso, proprio perché ci sto pensando, mi rendo conto di quante volte nella vita reale il mio viso rimane come una maschera di cera, quando non voglio palesare qualcosa che sto provando, per esempio. Immagino sia una cosa che facciamo tutti, più o meno consciamente.
E' anche probabile, invece, che lo faccia solo io e faccia la figura della tonta, ma tant'è.
Ci sto pensando perché nella passata ora e mezza sono stata folgorata da uno dei visi più particolari su cui abbia mai posato lo sguardo: quello di Macarena Gomez. Una bellezza decisamente non convenzionale.
Stavo pensando al modo in cui usiamo il viso perché prima d'ora ho visto pochissime persone usarlo come fa lei. Perché quando hai dei lineamenti così particolari (e, quindi, riconoscibili) è facile cadere nel 'Ahhhhh! Ma quella è Macarena Gomez!'. E invece zero. Pur essendo quello il suo viso, all'apparenza anche poco truccato, Macarena è completamente annullata dentro Montse.


La cosa che però mi ha fatto cadere inevitabilmente innamorata di Musarañas è che di suo sia una pellicola davvero, davvero bella a prescindere dalla Gomez. E' sinceramente inquietante e claustrofobico (come non esce Montse di casa, anche noi ne siamo vincolati, salvo una piccolissima eccezione), la tensione, soprattutto nella parte finale, è quasi insostenibile. I colori sono tenui, quasi spenti, l'ambientazione è deliziosamente vintage senza strillare 'EHI! SIAMO NEGLI ANNI 50!'. E anche tutti gli altri attori sono di un signor livello (risalutiamo Tosar, in personaggi sempre più merda in ogni film che passa).
Eppure, l'interpretazione assolutamente fuori dalla norma della nostra protagonista lo eleva a film eccezionale. Lei, le sue mani costantemente in movimento e i suoi occhioni sbarrati. Lei che interpreta un personaggio così complesso, e sembra farlo con una naturalezza tale che mi fa dubitare della sua salute mentale anche nella vita reale.
Un personaggio, tra l'altro, incredibile. Fortissimo, combattutissimo, pieno di sofferenza. Un personaggio crudele ma a cui non si riesce ad attribuire alcuna responsabilità per quella stessa crudeltà. Io, che non ho mai desiderato entrare nel mondo del cinema ma solo fruirne dall'esterno, non posso che guardare con sconfinata ammirazione quello che una persona può fare con il suo corpo. Prenderlo, e renderlo quello di qualcun'altro.


Sono molto ammirata da quello che gli spagnoli riescono a mettere in piedi. 
Io mi trasferisco.

mercoledì 3 giugno 2015

Psycho Mentary

17:56
(2014, Luna Gualano)

Continuiamo a parlare di Liebster Awards.
Quando vi ho chiesto di consigliarmi un film mi aspettavo di leggere tra le vostre proposte tanti classici, tanti titoloni imperdibili.
E ci sono stati, per carità.
Ma voi, che siete mica un gruppo di pirlotti, mi avete presa per mano e mi avete condotta attraverso strade ben più inusuali del classico filmone autoriale che sapevamo già sarebbe stato grandioso.
Nico, del blog 50/50 Thriller, per esempio, mi ha parlato di un film di cui avevo solo letto qualcosa qua e là sulla blogosfera.

Psycho Mentary è un thriller - horror italiano.
Diretto da una donna.
E vi dò il colpo di grazia per farvi scappare: è un mock.
FUGGITE, STOLTI!

Tornate qua, fagioloni, che scherzavo.
O meglio, è davvero un film italiano dalle tinte belle cupe, e pure mockumentary.
Però è bello. Giuro.
Io non lo so come sia possibile, come sia successo un simile e splendido evento senza che i manifesti urlassero al miracolo, senza che il mondo crollasse, senza che si incrinassero le costole dei fratelli Vanzina.


Lucia, la figlia del senatore Silvestri, viene rapita da un uomo mascherato. Il riscatto richiesto per il suo rilascio è di un milione di euro. La somma viene rapidamente versata, ma pare che all'uomo mascherato un milione non basti più. Adesso ne vuole 10, per non uccidere una dopo l'altra tutte le altre vittime che aveva sequestrato. Facili, da trovare, 10 milioni...

Io son qui che non contengo la gioia, non so da dove è bene iniziare.
Abbiamo un mockumentary in cui ogni telecamera è giustificata! Davvero! Le riprese sono fatte dall'assassino stesso con lo scopo di mostrare le sue eroiche azioni al capitano Brunetti, che si occupa del caso, (e non solo, vedrete) per cui non ci sono motivi del cavolo a giustificare le riprese!
Davvero!
Ogni. Singola. Telecamera. ha un motivo preciso per essere esattamente dove sta.
E' una sensazione bellissima. Come una doccia fresca dopo una corsetta i primi di giugno.

Altra cosa, altra cosa.
Avete ogni tanto quella sensazione strana legata ai prodotti italiani, per cui vedere un film magari indipendente o sentire una canzone nella nostra lingua causa un disagio che ti costringe a cambiare?
Io ce l'ho.
Mi sa che si chiama imbarazzo.
Poche volte me ne salvo. Quando ascolto Mannarino, per esempio. O quando vedo film che sono ben recitati.
BEN RECITATI, capito?
Psycho Mentary ha anche ottimi attori. Non sono i soliti noti (e meno male, regà), non conoscevo i loro nomi prima di questa visione ma, signori miei (e se l'avete pronunciato come Crozza che fa Renzi high five), sono bravi.
E se pensate che stia parlando solo degli interpreti principali vi sbagliate. Sono proprio bravi TUTTI. La moglie di Brunetti, per esempio. Si vede in una sola scena, mentre parla con la sua bambina, e si potrebbe dire che nemmeno sta recitando.

Pensate che le cose positive siano finite qui?
NO.
Ce ne sono ancora, sono felice come una bimba sulle giostre.
La Gualano ci regala un paio di scene con un livello di gore abbastanza elevato, eppure sono quasi eleganti. La violenza, e il disgusto che essa suscita, non sono ostentati, nè volutamente screditati. Ci sono, e basta, quindi te li mostro in quanto tali ma non ho bisogno di cercare il tuo sguardo schifato. Non serve.
Perché il piano dell'uomo in maschera è molto più di questo, è molto più della 'solita' violenza oscena e scandalosa.
E' subdolo, è furbo, ma soprattutto è perfettamente lucido. Ogni minimo dettaglio è studiato per far sì che nessuno sia costretto a soffrire più di quanto non lo costringano a subire le scelte degli altri personaggi. In un colpo solo infierisce tremende botte al nostro Brunetti pur mantenendosi in un certo senso la coscienza pulita.
Costruendo una simile premessa, era difficile scivolare su un finale affrettato, magari troppo action come accade spesso in certi tipi di thriller. Con tutto il tempo che le occorre (e badate che parliamo di un film breve) la regista ci conduce verso la conclusione della faccenda, e lo fa in modo esemplare.

Per lasciarci poi con l'amaro in bocca.
Ora, non voglio esprimermi troppo a proposito della questione economica che incontriamo più o meno a metà film, perché non mi sono informata su quanto ci sia di reale e quanto sia invece fiction.
E' un argomento troppo spinoso perché io ne sappia davvero qualcosa.
Ma il valore della vita è inquantificabile. Il valore dei nostri affetti è inqualificabile. Una gran banalità, vero? Ci ho pensato spesso durante la visione, a come mi sarei comportata io, messa in una tale posizione piuttosto che in quell'altra. Perché mentre io me ne sto qui davanti al ventilatore a scrivere una non richiesta opinione su un film molto bello, da qualche parte nel mondo qualcuno sta morendo. I miei secondi stanno scorrendo allo stesso modo, le mie dita continuano a scrivere. Se quel qualcuno, però, fosse mio fratello, o il mio ragazzo, o qualcuno che amo, la mia vita sarebbe irrimediabilmente e inconsolabilmente spaccata.
Guardando il film, quindi, viene da chiedersi: e se potessi salvarli, fino a dove mi spingerei?
E' una domanda che al momento non ho il coraggio di farmi, perchè non ho il coraggio di ascoltare la risposta.

Unico rimprovero che mi sento di fare riguarda la scelta del cognome del nostro protagonista. Più volte mi sono dovuta correggere perché stavo scrivendo Brunetta.
Sia mai che parli bene di lui.






mercoledì 20 maggio 2015

Lake Mungo

13:29
(2008, Joel Anderson)

Sono al ventottesimo minuto di visione. Tuona, oggi da me è una giornataccia. Ricordo di colpo di essere in casa da sola. Realizzo di avere una maledettissima paura, quindi le scelte sono due: o lancio il pc giù dalla finestra, allontanando il fantasma di Alice Palmer il più possibile da me o mi armo di pazienza e attendo che qualche membro della mia famiglia rimetta piede in casa.
Film in pausa, me la sto facendo sotto.

Lake Mungo è il film che in sede di Liebster mi è stato consigliato da Bradipo. Ha detto qualcosa come australiano+mockumentary+muovilechiappearecuperarlo. Mi si compra con poco, me ne rendo conto.


In Lake Mungo incontriamo la famiglia Palmer. Papà, mamma e figlio cercano di affrontare come possono la scomparsa di Alice, figlia e sorella. Alice è affogata durante una gita di famiglia. Dopo la sua dipartita, però, fa continue apparizioni in foto e video di famiglia. Un fantasma?

LO SO, LO SO che al mio nominare i mockumentary tanti di voi hanno avuto un sussulto di disgusto. (Io no, io li amerò sempresempresempre)
Vi comprendo, amici.
Ma accantonate per un momento il moto di ostilità che si sta muovendo dentro di voi. Lake Mungo è diverso. Non ci sono quei movimenti da mal di mare che sembrano essere diventati l'unico modo per girare un finto documentario. Non ci sono inquadrature confuse o volutamente amatoriali.
C'è un documentario nel suo senso più convenzionale, con testimoni e persone legate alla vicenda che stanno sedute di fronte ad una telecamera a raccontare cosa è successo. E, ogni tanto, ci hanno buttato una bella scena di quelle intense a ricordarci cosa significa avere paura di un film.


Abbiamo tre personaggi disperati. Ma di quella disperazione dignitosa, non ci sono urla, strepitii, nè capelli strappati. Ci sono una mamma, un papà e un fratello che cercano il modo di stare in piedi nel mondo dopo un lutto del genere. E sembrano riuscirci, fino a quando il fantasma di Alice viene a fargli visita. Ma soprattutto, sembrano riuscirci fino al momento in cui sono costretti a guardare in faccia la realtà, a scavare al di sotto delle loro convinzioni per scoprire chi realmente fosse Alice.

Mi hanno molto colpito questi personaggi così composti, sofferenti ma in modo pacato e silenzioso. Considerato che poi buona parte del film ruota intorno a loro che fissano in camera e narrano, era necessario che gli attori fossero quantomeno credibili.
E lo sono, meno male, lo sono.


Dico 'buona parte' volutamente, perché non c'è solo questo. Ci sono le apparizioni del fantasma, ci sono le foto, ci sono i video. E soprattutto, c'è un filmato ripreso con il cellulare, che riprende il momento in cui Alice non è più stata la stessa.
E, mannaggia la miseria, fanno davvero paura.
Il che suona come una specie di piccolo miracolo. Non aspettatevi bus banali e telefonati, perché non ci sono. E non servono. Qui arriviamo nei momenti di maggiore inquietudine in punta di piedi, ma quando ci siamo dentro siamo vincolati, è troppo tardi per tornare indietro.

Ma chi ci vuole tornare, indietro?


mercoledì 6 maggio 2015

Sauna

16:33
(2008, Antti-Jussi Annila)

Non volevo proprio che la faccenda dei Liebster (se non sapete di cosa sto parlando, tutti qui) morisse con il mio post di domande. Siccome avevo chiesto ai vincitori di consigliarmi un film horror a testa, direi che è giunto il momento di seguire i vostri consigli.

Parto con Sauna, pellicola consigliatami dal buon Giuseppe (che potete leggere sul suo blog Il buio in sala), perché era l'unica di cui non avessi nemmeno lontanamente sentito parlare. Lo cerco, scopro che è scandinavo, parto presa bene.
L'ultima volta che ho visto un film del nord era Dead Snow, e la volta prima ancora avevo visto quello splendore di Lasciami entrare. Capite bene che sono prevenuta.

Sauna è un film ambientato a fine '500. Dopo la guerra tra Russia e Svezia due fratelli vengono inviati a collaborare con un contingente russo per ridefinire i confini tra le due nazioni. Finiranno a 'contendersi' un villaggio sperduto in una palude decisamente poco ospitale.


Un film abbastanza breve ma tutt'altro che rapido, che nulla ha a che vedere con i suoi colleghi sopracitati.
Giuseppe, lo ammetto: mi hai messa davvero alla prova.
Per la prima volta mi trovo ad affrontare un film così lontano dalle mie personali convenzioni, dal solito territorio della mia comfort zone mentale.
Non è stato facile ma, in modo (devo riconoscerlo) del tutto inaspettato, ne è valsa la pena.
Eccome se ne è valsa la pena.

Per la prima volta mi sono misurata con una pellicola in cui niente è cristallino. Parlo di un notevole dispendio di neuroni. Io certamente non sono una cima, non brillo per intelligenza, ma vi sfido a vedere questi 80 minuti con leggerezza.
Eppure, sono un toccasana sensoriale.
Gli occhi ne escono gratificati, da questa esperienza. I colori sono glaciali, pieno di azzurro, di blu, di grigi, che regalano un'atmosfera senza precedenti, e che sono interrotti solo saltuariamente non da brevi e fugaci apparizioni di colori caldi, ma solo ed esclusivamente dal fuoco.
Scalda, illumina, ma guarda caso si trova sempre o quasi nelle scene più di impatto. Come quell'acqua sporca di sangue che ci introduce alla vicenda e nel medesimo modo ce ne porta fuori.


Certo, poi c'è la storia.
Perché puoi essere bello finchè vuoi ma se non hai niente da narrare sei vuoto.
Sauna è una storia di redenzione.
O almeno ci prova.
Perché la redenzione, appunto, non sempre ci è concessa.
Il passato non ce lo laviamo via, non eliminiamo le tossine dei nostri errori solo entrando in una sauna, purtroppo. Sta lì, appollaiato sulle nostre spalle come un avvoltoio e quando meno siamo pronti ad affrontarlo vola giù e chiede il conto.
Così l'ha chiesto a Erik.
Per portarlo ad un finale ESEMPLARE, per realizzazione ed intensità.

Difficile da scordare, sto inaspettato Sauna.


 

giovedì 30 aprile 2015

K - Horror Day: Sorum

11:46
 

Io di cinema orientale non so niente niente niente.
(Ancora per poco, stay tuned.)
Per questo motivo, quando il buon autore del blog Obsidian Mirror ha pensato di proporre alla comunità di cinefigoni di parlare di horror coreani, io ho prontamente alzato la mano, sperando fosse l'occasione buona per iniziare a farmi un po' di cultura.

Per inciso, proprio Obsidian sta festeggiando i 4 anni del suo blog con uno specialone sulla saga (coreana, appunto) Whispering Corridors (ma non è un titolo bellissimo?). Lo potete leggere qui.

Il giovane Yong-hyun trasloca in un nuovo appartamento, collocato in un condominio dalle condizioni fatiscenti.
Qui farà la conoscenza di altri inquilini: l'editore fallito, la giovane donna picchiata dal marito, l'amica di quest'ultima, ma soprattutto il fantasma che condivide con lui l'appartamento, il 504.

Ecco, forse parlare del fantasma già nella trama è stato un errore, perché Sorum si può definire a tutti gli effetti una ghost story senza il ghost, il che la rende abbastanza ricercata.
Certo, di fantasmi ce ne sono, ma non sono proprio quelli a cui penseremmo noi.
C'è il fantasma di un passato ignoto, come quello del nostro protagonista, rimasto orfano in modo misterioso; ci sono diversi fantasmi di dolori passati, ma ancora presenti in maniera prepotente; c'è il fantasma del fallimento, quello che temiamo tutti che prima o poi ci piombi sul groppone.
Infine, c'è anche un fantasma convenzionalmente inteso, ma è quasi (quasi) irrilevante ai fini della trama.

Perché a Sorum non importa spaventare superficialmente, ti vuole entrare dentro con delle paure estremamente reali. La perdita di un figlio, di un amore, di un lavoro, di una famiglia. Sono dolori perfettamente comprensibili anche di non ha avuto l'immensa sfortuna di provarli. Per questo, se l'intento del film era causare la pelle d'oca che richiama col titolo, allora gli riesce benissimo.
Riesco poi a comprendere la critica che gli è mossa più spesso, ovvero quella di non essere un vero film dell'orrore, ma più un dramma.

Effettivamente, il dubbio è lecito. La prima ora di film è intensa, ma non spaventosa. E se vogliamo essere sinceri, grandi picchi di terrore non se ne toccano nemmeno nella seconda parte.
Eppure, c'è questo condominio lurido, fatiscente, ci sono questi personaggi incomprensibili, ci sono queste circostanze misteriose. . .
Non è pane per tutti i denti, poco ma sicuro.
E' anche un pochino prolisso, toh.
Eppure, per l'ennesima volta in pochissimo tempo, mi sono ritrovata di fronte ad una pellicola in cui niente è quello che sembra. Nessuno è chi dice di essere, o almeno non completamente. Ed è una cosa che mi piace sempre, soprattutto quando, come in questo caso, i personaggio sono così lontani dalla banalità.
C'è anche un bel pezzettino di metaracconto che mi è piaciuto assai.

Ma forse, quando si parla di 'camere maledette', sono io ad essere di parte.

Ovviamente, non sono l'unica ad avere parlato di cinema coreano, oggi.
Gli altri signori sono tutti qui!

"Whispering Corridors" (1998) su Non c’è paragone
"Whispering Corridors" (1998) su Pensieri Cannibali
“Two Sisters” (2003) su White Russian
“Three...Extremes” (2004) su La Fabbrica dei Sogni
“The Host” (2006) su Recensioni Ribelli
“Hansel & Gretel” (2007) su In Central Perk
“Thirst” (2009) sul Bollalmanacco di Cinema
“I Saw the Devil” (2010) su Delicatamente Perfido
“The Terror Live” (2013) su Cinquecento Film Insieme
“Mourning Grave” (2014) su Director’s Cult
"Speciale Whispering Corridors" su The Obsidian Mirror

domenica 19 aprile 2015

The Wicker Man

16:30
(1973, Robin Hardy)

Vi ricordate che vi avevo detto che quando sono tanto contenta guardo un film che so che sarà bello perché mi voglio auto-premiare?
Ecco, lo faccio anche quando mi succede qualcosa di brutto.
Quindi, direi che siamo nelle condizioni perfette per vedere una pellicola come The Wicker Man di cui le persone che si intendono per davvero di cinema parlano sempre con voce gloriosa e occhi innamorati.

Un poliziotto viene mandato a indagare in una bizzarra località a proposito di un caso riguardante una ragazzina.
Twin Peaks?
No, no, garantisco che era The Wicker Man.


Un film che o lo conosci, l'hai visto, lo ami, oppure non avevi mai sentito nominare neanche per sbaglio. Io ero, con mia suprema umiliazione, parte della seconda categoria.
Mai doppiato in italiano, non che la cosa mi urbi più di tanto, mai distribuito in Italia e lasciato lì a cadere nell'oblio. Se ne è salvata una copia per il rotto della cuffia. Con nostra immensa fortuna.

Fortuna perché questo film (uscito in un'epoca in cui era difficile non passare in sordina, visti gli altri piccoli e insignificanti filmetti dei primi anni 70), visto oggi, conserva un fascino ineguagliabile.
E' affascinante la piccola isola in cui il sergente arriva, richiamato da una lettera anonima per indagare sulla scomparsa di una bambina di nome Rowan. E' affascinante l'aria che inizialmente su quest'isola si respira: libertà assoluta, sessuale e non solo, il rapporto tra i concittadini, le canzoni, il localino in cui vanno tutti a bere e incontrarsi.
E' affascinante questo Christopher Lee.
Miseria, questo Christopher Lee. C'è stata anche un'epoca in cui non ha avuto 750 anni, pensate un po'. Il 'santone' dell'isola, vogliamo chiamarlo così? Un ruolo che in tanti hanno interpretato nel corso della storia, perché le comuni vanno via come il pane. Eppure, lui è diverso da tutti quelli che ho visto fino ad ora. Non impone un proprio supposto carisma, che servirebbe a giustificare il suo ruolo lì. Non urla, non strepita frasi metaforiche finto profonde, lui è il super boss perché l'isola gli appartiene, l'ha comprata suo nonno.

- Per inciso, avendo recitato solo per la gloria dato che non ha visto un centesimo manco per piacere, avrebbe potuto andare lì tanto per, far due cagatine e andar via. E INVECE. Non solo è stato incredibile, ma ancora oggi gli piace dire che questo è uno dei suoi film più riusciti. Bella zio, c'hai ragione. -


E poi, arriviamo a parlare della questione fanatismo, perché non se ne scappa.
Da un lato abbiamo il sergente Howie, cristiano devoto, illibato in attesa delle nozze, che nella sua fede trova la forza e la speranza, e che alla sua fede si affida fino alla fine. Dall'altro, la comunità di Summerisle, così gioviale, e cortese, e divertente, che però...
Questo mi terrorizza. Sul serio. Il momento in cui il credere in una qualsiasi religione o fede prende il sopravvento sulla ragione in modo cieco e 'sparato', mi spaventa. Per questo, ho molto amato il momento della fine che posso rivelarvi senza spoiler: Howie che, in una situazione che definirei di emergenza, invita tutti ad una cosa sola. PENSARE. E lo continua a ribadire, a sottolineare. Pensate, pensateci, pensateci davvero.
Se poi collochiamo questi atteggiamenti in una pellicola che si sfoglia come un libro, è tutto un crescendo di tensione, e confusione, che non può finire bene.
Il riferimento allo sfogliare non è casuale. E nemmeno quello precedente a Twin Peaks. E siccome sono una vera ribelle, ci metto anche un libro: Abbiamo sempre vissuto nel castello.
In tutti questi casi, niente è come sempre. Ci viene inculcata un'idea, o ci viene comunicata in modi meno diretti durante il percorso. Poi, arriviamo alla fine, e tutte le nostre idee sono ribaltate.
Non si tratta più solo di plot twist, non sono semplici colpi di scena.
Sono eventi che cambiano completamente il senso della storia, che mettono tutti sotto una luce diversa, che ribaltano la pellicola.
In un modo che ti fa capire che quella che hai appena visto è una perla con una marcia in più.

Era da tanto che un film non mi disturbava così sul finale.
Un tramonto che credo non scorderò facilmente.
Soprattutto se penso che con i soldi che loro hanno speso per fare sto film io più o meno ci faccio shopping da H&M, Zara no che già costa troppo.




sabato 11 aprile 2015

Il fenomeno Amityville: parte III

15:03
Miseria che pagliaccia.
Settordici rubriche iniziate sul mio spazio preferito del webbe e manco UNA DICO UNA conclusa.
Ottimo lavoro.
Siccome però non voglio che la redroom prenda polvere e ragnatele più di quante già non ne abbia per sua stessa natura di posticino cupo e gotico (ssssse), riprendiamo in mano qualcosa qua e ricominciamo a parlare di Amityville.
Se pensavate che il mio essere intrigata dalla vicenda sia esaurito solo perché ho messo in pausa l'argomento, beh, vi sbagliavate.

Ci siamo lasciati parlando di Amityville Possession, secondo film uscito, che come gadget di fine visione ci aveva lasciato la cagarella. Dopo di lui sono arrivati altri 6 (SEI, SEI!) film, di cui la maggior parte destinati alla tv.
Per questo ho deciso di trasformarmi in una specie di Marty McFly e volare dritta dritta al 2005, quando tale Andrew Douglas ha detto:
'Oh ma nessuno si caga Ocean Avenue da un po', che dite, ci torniamo?'

Ci sono tornati.

The Amityville Horror - 2005 - Andrew Douglas

Ormai ne abbiamo parlato tempo fa: ad inizio anni 2000 era tutto un riportare in sala film anni 70-80 come se fosse l'unica cosa possibile. Ovviamente il 112 di Ocean Avenue non poteva essere immune da tale invasione, per cui siam qui.


Stavolta George Lutz è Ryan Reynolds.
Trattenete lo sguardo sgomento, ci torneremo.
La storia è sempre la stessa: Robert DeFeo Jr uccide la sua famiglia nella loro casa. Casa che verrà poi acquistata dai Lutz: mamma, papà e tre bambini.
La permanenza non sarà esattamente gradevole, ma già lo sapete.

Sono passati quasi 30 anni dall'originale, ma è davvero cambiato qualcosa?
Temo di no.
Il primo Amityville era abbastanza mediocre, non certo un film che colpisce. Questo è mediocre pure.

Il cast è molto MEH.
Io non è che abbia qualcosa contro Ryan Reynolds o Melissa George, i genitori. Davvero.
Ma cosa avranno avuto, 25 anni?
Con un figlio di almeno 10/12?
Mah.
Certo, c'era pure una piccola e ttttenera Chloe Grace Moretz, che nell'horror a continuato a bazzicarci per un po'. Ecco, lei era tanto bellina.

I bus ci sono, alcuni anche abbastanza efficaci, effettivamente. I mostri brutti e putridi qui vanno via come il pane.
Ma l'atmosfera è del tutto assente, SPOILER l'happy ending era cristallino dal principio, cosa che non dovrebbe essere perché mica tutti gli spettatori sanno com'è andata la vicenda 'realmente'. Non c'è tensione, non c'è ansia crescente. Anche perché nel giro di 20 minuti si è passati da Raianreinolds adorabile bellissimo desnudo paparino tenero e marito meraviglioso a brutti infame maleducato. Non c'è una discesa nel vortice, non c'è una caratterizzazione tale che ti permette di cogliere i cambiamenti in modo radicato e terribile. 5 minuti e prima abbraccia la bimba e poi quasi prende ad accettate la mano del bambino.


Certo, qualcosa di buono c'è: ho amato l'attenzione ai dettagli della casa. Rubinetti, finestre, grate, tegole. Sono presenti, messi in evidenza. E in una saga in cui la casa fa tipo il 50% del fascino, direi che è sempre gradevole darle l'importanza che merita.
Certo, una bella casa non basta.
Ma poteva andarci peggio.

Ad oggi, almeno, ho la mia precisa opinione sulla vicenda.
I Lutz sono stati subdoli. Hanno sfruttato una tragedia reale e ci hanno lavorato su fino a sanare i debiti della loro famiglia.
E questo potrebbe anche essere eticamente scorretto, se vogliamo. Anzi, dai, è ovvio che lo è.
Ma qua non si fanno certo lezioni di morale, non è quello che mi interessa.
Il risultato di tale operazione è un fenomeno davvero intrigante. Serie (lunghissima) di film, libri (di cui parleremo), documentari. Tanti di questi sono prodotti davvero poco potenti, eppure la saga non ha mai subito una battuta d'arresto, anche questo è interessante. Tutto nato da una bugia ben raccontata. E a cui tutti (o quasi) hanno creduto fino al momento della 'smentita' ufficiale.
Io ci ho creduto.
Mi spiego meglio: non credo alle mosche che escono in massa ad aggredire il prete, non credo ai cimiteri indiani che fanno resuscitare le altre persone.
Credo nel potere della suggestione.
Ci credo sinceramente che una persona, magari stressata dalla vita (ma non lo siamo poi tutti?), magari piena di debiti che ha fatto per comprare quella stessa casa, magari angosciata da pensieri di natura varia, e magari un po' credulona o ignorante, possa farsi condizionare da un'abitazione misteriosa.
Ci credo che uno possa auto inquietarsi, auto convincersi che qualcosa non va, fino al punto in cui i suoi timori si rivelano fondati.
Ma tant'è, era una bufala.




domenica 5 aprile 2015

Il signore del male

18:46
(1987, John Carpenter)

Signori, ho trovato un lavoro.
Stare a casa disoccupata mi stava logorando su tanti di quei piani che fatico anche solo a spiegarlo.
Mi meritavo un premio.
Ed esiste un premio migliore di un bel film?
Spoiler: no.

E poiché non parlerò de Il seme della follia nemmeno sotto tortura almeno fino a quando non avrò 15 lauree in cinemaregiasceneggiatura, direi che è giunto il momento per me di mettere da parte il mio terrore per i film demoniaci e vedere, in vergognoso ritardo, Prince of Darkness. 


[Ve lo dico subito che così ci leviamo un bel pensiero. Se pensate che io sappia anche solo cosa vuol dire fisica quantistica avete proprio capito Roma per Toma. Io amo la storia, la letteratura, tutto ciò che è astratto. Le materie scientifiche mi annoiano solo se ci penso. Mi dispiace. So che questo potrebbe essere una limitazione nella visione del film, lo riconosco. Terrò Wikipedia aperta, che volete che vi dica. Ma tanto con ogni probabilità non capirò nemmeno cosa dice Wiki.]

In un'antica chiesa di Los Angeles viene ritrovata la sede di una segreta setta religiosa, che custodiva un misterioso liquido verde, che pare essere l'essenza del Maligno. Il sacerdote responsabile del ritrovamento si rivolge ad un professore di fisica e ai suoi studenti per risolvere il mistero.

Oh, eccoci qua.
Sediamoci e parliamo di fede/scienza. Ce l'avete un tè? Io ho fatto la torta al cioccolato, così intanto facciamo merenda.

Io sono atea, ma non sono una di quelle atee ostili nei confronti dei credenti. Io ho molto rispetto delle persone con una sincera religiosità, sono sempre contenta di ascoltare il loro punto di vista e condividere con loro il mio.
Per questo motivo, la prima cosa che mi ha tanto colpito de Il signore del male è che vediamo i due mondi apparentemente 'antagonisti' incontrarsi per loro stessa volontà. E' il sacerdote che sceglie di comunicare le proprie perplessità al professore anzichè al proprio superiore. Qualcosa nel suo mondo lo sta mettendo in difficoltà, per cui sceglie di aprire la sua mente - che rimane comunque ferma nel proprio credo - alla scienza. Così come il professore e gli studenti sono costretti ad un certo punto a riconoscere che l'entità dei fenomeni che stanno colpendo la chiesa esula dal loro campo di competenza.
Questo mi affascina molto, e non fa altro che aumentare la mia già presentissima stima nei confronti di Big J.
Ogni personaggio è interessante, intelligente, aperto all'altro ma non incoerente.
Persone che vorrei incontrare nella vita reale.


Chiaro, parliamo di un film.
Un film girato con qualcosa come i 5€ della paghetta.
Un pochino si vede, dai. Un pochino.
Ma, francamente, ce ne frega?
No che non ce ne frega, perché con 5€ noi ci compriamo un pacchetto di sigarette (voi, perché io non sono scema e non fumo), lui, che c'è un motivo se è una specie di divinità greca, ci ha girato un film che inizia sottovoce, e poi esplode.
La sensazione è quella di una tavola preparata: si inizia a cucinare pian piano, poi si apparecchia, con calma e in ordine. Poi si inizia a sentire il profumo del cibo che è quasi pronto e infine sbam! Piatti in tavola, portata dopo portata, rumore di posate, l'acqua versata, e infine, gran finale per cui c'è sempre spazio anche nello stomaco più pieno, il dolce.
E così Il signore del male. Inizia con 10 minuti di titoli di testa, angoscianti e infiniti, nei quali assistiamo alla preparazione della mattanza. Quello che dovrebbe essere il momento in cui sentiamo il profumino del cibo è quello in cui il demonio si libera, prende possesso della prima vittima, ed entriamo nel vivo del film.

A questo punto affrontiamo la questione paura. Perché si parla di un film demoniaco. Di un film demoniaco della miseria. Quindi, come ha potuto una persona terrorizzata dal suddetto filone averlo visto?
Paura me ne ha sinceramente fatta. Mi ha lasciato quella patina di angoscia sulla pelle, quella che potrai anche farti mille docce (se hai il coraggio di andare in bagno da sola) ma la senti ancora lì. Per tutta la durata sono stata incollata allo schermo, ma questo era prevedibile.
Certo, quel finale lì mica me lo aspettavo.
Infatti ho fatto un triplo carpiato rovesciato imbalsamato che credo di avere tolto un paio di doghe al letto.
Eppure, dopo lo spavento iniziale, era l'unico finale possibile. Io non ci sarei mai arrivata di testa mia, ma una volta che il sior Genio me lo ha presentato, era in effetti l'unica cosa da fare. Che è il motivo per cui lui è, appunto, il sior Genio e io la siora Cretina.


Mi pare di avere capito che lo si ama o lo si odia, sto principe delle tenebre.
Io, personalmente, l'ho amato.

(Certo, se ne volete un'opinione più seria e molto meglio argomentata, vi rimando alla recensione di Obsidian Mirror)

mercoledì 25 marzo 2015

La piramide

13:41
(2014, Gregory Levasseur)

Avevo promesso a me stessa che non avrei piu' perso tempo con dei filmacci.
Ma siccome sono coerente e decisa, quando la mia cara Beatrix del blog Cinquecentofilminsieme mi ha provocata su Twitter con questa pellicola, non ho saputo resistere.
Ogni tanto il mio corpo necessita fisiologicamente della sua dose di spazzatura, motivo per cui siamo qui felicemente riuniti oggi.
Per fare la differenziata.

Siamo in Egitto, nel bel mezzo del deserto, dove un gruppo di scienziati ha fatto una scoperta che ha dell'incredibile. Sotto metri di sabbia stava una piramide, una quarta piramide, che si differenzia dalle altre per la forma: ha soli tre lati. Hanno poco tempo per darle un'occhiata, perche' i finanziamenti per la loro ricerca sono appena stati sospesi e devono tornare a casa il piu' velocemente possibile.
Ci torneranno?
Ovvio che no.

Io ve lo dico, ci saranno tanti spoiler ammazzafilm e anche tanti francesismi. Piu' francesismi che spoiler.


Ero stata preventivamente avvisata dalla sopracitata Beatrix che mi sarei trovata di fronte alla merda, ma ci sono casi in cui nemmeno un'opportuna preparazione ti salva dal vaffanculo.
Siamo, signori e signore, di fronte alla piu' superba stronzata su cui abbia posato lo sguardo di recente.

Ultimamente, grazie al fatto che leggo molti blog e recensioni, difficilmente incappo in brutti film, e quando lo faccio e' quasi sempre di proposito. Come in questo caso. Quindi non posso lamentarmi, direte.
Vero, ma insomma, un minimo di dignita', un limite.
Oltretutto, c'è brutto e brutto. 
C'è il brutto volontario, il trash, quello ci piace molto, ci fa ridere. Gli squali cadono dal cielo e i pagliacci alieni uccidono le persone, va bene. Anche Birdemic va bene, ridiamo che e' sempre bello.
Poi arriva il brutto che ci crede.
Il brutto che si crede bello.
Il brutto che vorrebbe fare il tronista da Queen Maria.
E quello non ci sta.
Quello ci imbarazza, ci fa cambiare canale, ci fa girare vorticosamente i coglioni.

La Piramide e' un informe ammasso di tutto cio' che non va.
Ci sono problemi di sceneggiatura talmente magistrali che li ho notati persino IO.
(es. tutti vogliono entrare in sta piramide. Tutti, eccetto Holden. Lui no, perché con la sua esperienza sa che non sarebbe una buona idea. Entrano lo stesso, iniziano a morire come zanzare dentro gli scatolotti elettrici e allora il genio, la mente sopraffina del gruppo, ovvero la giornalista o qualunque sia il suo lavoro, si scaglia contro di lui. E urla, e strepita, e fa versi insignificanti, e si incazza pure, questa brutta cretina. CON LUI. Nel didietro te lo meriteresti, l'Emmy, deficiente.
Scusate sempre il francese)


Ah, e lo volete uno spoiler bello bello?
Dai che ridiamo insieme.
Entrano nella piramide, non sono soli e lo capiscono subito. Ci sono degli animali e non sembrano buoni. Ma...di cosa si tratta?
Di gatti.
Malvagissimi e crudelissimi gatti cannibali.

AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAARGH!!!!!

Scusate, m'e' presa paura.

E se pensate che i gatti siano la cosa più sconvolgente del film, aspettate a sorprendervi: arriva il Dio Anubi.
Quello li', meta' sciacallo meta' uomo.
Lui.
Arriva, ed e' veramente realizzato col culo.
L'ultima volta che ho guardato un film in cui una creatura meta' uomo meta' animale faceva la sua comparsa me la sono fatta addosso. Tipo che tenevo la schiena incollata al divano perche' se mi giravo ero CERTA che quel mostro stava li'.
(Spoiler: era V/H/S 2)

Quindi, ricapitoliamo.
Abbiamo una buona vicenda?
Mah, non e' malaccio, poteva essere intrigante, e poi gli antichi egizi piacciono a TUTTI.
Abbiamo buoni attori?
Nope.
Abbiamo una sfolgorante regia che ci fa scoprire un nuovo talento della cinematografia mondiale?
C'e' un regista?
Abbiamo effetti speciali che almeno rendano la visione non del tutto vana?
AHAHAHAHAHAHAHAHA.
Abbiamo qualcosa?
Non lo so, io vedo solo del gran pattume.

In compenso, aveva ragione Beatrix.
Ho riso molto.
Era piu' un risolino isterico post traumatico che di gioia, ma ho riso.


lunedì 16 marzo 2015

The taking of Deborah Logan

14:02
(2014, Adam Robitel)

Ho letto per la prima volta di questo film qui, da Malpertuis, il blog a cui guardo con ammirazione sconfinata e rassegnazione mista invidia perche', andiamo, le avete lette le sue recensioni?
Questa sara' decisamente piu' terra terra e banalotta.

Mi ha affascinata da subito, per qualche strambo motivo irrazionale, ma siccome parliamo di taking capite anche voi che non potevo guardarlo con leggerezza, vista la mia relazione di amore/odio col tema. Quindi ho aspettato di non essere a casa a sola, ed eccoci qui.


La Deborah Logan del titolo e' un'elegante signora a cui e' stato diagnosticato il morbo di Alzheimer. Le spese mediche sono costose, pertanto la figlia sceglie di accogliere in casa un gruppo di studenti che realizzera' un documentario/studio sull'avanzamento della malattia.
Non passera' molto tempo prima che si accorgano che forse Deborah non e' solo malata.

L'ultima volta che qualcuno aveva avuto l'ideona di fare un mock a tema demoniaco il risultato era stato L'ultimo esorcismo, che insomma non era proprio un risultatone.
Stavolta ci e' andata decisamente meglio.

Cosi' elegante, discreta e raffinata la madre, Deborah, appunto, tanto ansiosa, apparentemente trasandata e' la figlia, Sarah. Si trovano ad affrontare uno di quei dolori che ti restano appiccicati alla nuca.
Puoi non pensarci, puoi distrarti bevendoti una birra in veranda, ma sta li', sempre pronto a colpirti quando non ci stai pensando.
Sarah da figlia comunissima di madre comunissima e' costretta a trasformarsi in caregiver, a dedicare ogni istante della sua giornata alla madre malata che sta peggiorando molto piu' velocemente del previsto.


E non c'e' certo bisogno di avere lavorato a contatto con le famiglie di anziani malati per comprendere quanto questo ruolo investa completamente la vita di chi ci si ritrova invischiato.
Da un lato hai il grande dolore di vedere tua madre soffrire cosi', con una malattia cosi' infame. Dall'altro la tua inividualita' viene messa da parte, a tempo indeterminato.

Anche per questo l'arrivo della troupe che realizzera' un video su Deborah e il suo male si rivela salvifico. Sarah non si ritrova sola a gestire questa enorme responsabilita', ha compagnia e sostegno, ha una studentessa di medicina che, visto il peggioramento di Deborah, e' fondamentale.

Peggioramento che e' rapido e inaspettato, ma non violento o mal presentato nel film. I fenomeni inspiegabili partono in sordina, la sua crescente aggressivita' potrebbe essere spiegata con motivazioni mediche.
Potrebbe, ma non e'.
I medici non sanno che fare.
Ma rimangono, continuano, visitano, ricoverano.
Mica come ne L'Esorcista che hanno guardato intensamente Reagan negli occhi e dicono "Signora io non so lei ma vedrei un prete".
Qui siamo nel 2014, la ragione e la scienza prevalgono, questa donna DEVE essere malata.
Lo e', per carita', ma non solo.

Il che rende la questione due volte piu' interessante, perche' ogni azione (a parte ovviamente quelle piu' estreme, fisicamente impossibili e finali - io terrei d'occhio le mascelle. C'e' una scenona) potrebbe essere guidata da una o dall'altra variabile. Per buona parte della pellicola Deborah potrebbe essere tranquillamente un caso clinico molto particolare e grave. 

Hai davanti agli occhi il corpo di una persona che ami. E' proprio li', il suo volto, i suoi occhi, le sue labbra.
Ma non e' piu' se stessa.
Alzheimer o possessione, cosa importa?


Ho iniziato l'anno con certe pellicole che raggiungerle in scaletta di gradimento e' tostissima, e purtroppo The taking of Deborah Logan non tocca certe vette di radioso splendore.
Pero' vi sconvolgero' rivelandovi che a me ha inquietato in quel modo che ti mette a disagio sulla seggiola, che ti fa controllare ogni tanto dietro le spalle di non avere un'anziana pazza che cammina in camicia da notte e spunta dalle porte.
E si', ho fatto un paio i saltini non indifferenti sul ivano che meno male che ho un bel sederotto che ha attutito i colpi.


mercoledì 11 marzo 2015

Mercy

11:16
(2014, Peter Cornwell)

Ve lo ricordate questo post?
In cui vi dicevo che sarebbe uscito un film tratto dal mio racconto preferito di Sephen King intitolato Gramma?
(info tecniche: sta nella raccolta Scheletri e in Italia lo chiamiamo La nonna, chiaramente)
Ecco, e' uscito.
Ed era meglio che se ne stesse dove stava, in mezzo alla collezione di dvd del regista, in modo che tutti ci dimenticassimo della sua esistenza e archiviassimo questa brutta brutta esperienza negli angoli piu' nascosti e bui della nostra memoria.

Mercy e' una nonna, con figli e nipoti adorati. Si sente male durante una cena e da quel momento la sua salute sara' irrimediabilmente compromessa, tanto da portare figlia e nipoti a trasferirsi da lei per prendersene cura.

Non credo ci saranno troppi paragoni con il racconto, in questo post. Quello era uno dei piu' belli del Re, sicuramente uno dei piu' agghiaccianti, decisamente il mio preferito. Questo film e' una MERDA, pertanto i paragoni finiranno qui.


Sono francamente incazzata.
Qualcuno di voi si ricordera' che ho lavorato in una casa di riposo per un anno. Ho fatto il Servizio Civile Nazionale. Non mi posso certo dire un'esperta nazionale in geriatria, ma qualche cosa l'ho vista, qualche cosa l'ho imparata.

Ora, io mi rendo conto di ogni cosa, davvero. E' un film, non e' la realta', usate tutte le argomentazioni che volete.
Ma non e' concepibile, in nessun modo, che una donna stia male, molto, torni a casa in uno stato irriconoscibile e nessuno NESSUNO della sua famiglia mostri un accenno di sofferenza. Capisco il figlio che crede nei poteri malefici della madre, capisco il nipote lontano che non e' molto legato, capisco tutto il cavolo che volete, ma quella e' tua MADRE, o tua nonna, e nessuno versa una lacrima.  Tranne il nostro protagonista George, ovviamente, lui la nonna la amava molto.
Lo so, lo so che a volte nel mondo reale succede. Sempre per il fatto che ho lavorato in mezzo agli anziani.
Ma nel mondo reale la protagonista della storia non passa tutto il film a lodare le qualita' della madre forte che ha cresciuto da sola tre gemelli per poi vederla in determinate condizioni e prenderla con una leggerezza che avrei preso a schiaffoni.
Gia' questo dovrebbe dirci quale grande esplorazione emotiva, caratteriale o psicologica ci stia dietro a questo imponente lavoro.
E la grandissima e poraccissima fiera della banalita' per cui la casa di riposo e' un luogo inquietantissimo, e gli occhi degli anziani fanno tanta paura ai regazzini, e poi l'anziano matto che prende la mano del giovine e allora ARGH mamma ho paura?
Ma dai, ma fatemi il favore.

Potrei passarci sopra, volendo. Se solo capissi da che parte stiamo andando a parare, perche' non mi e' chiaro.
Mi vuoi ammaliare con il mistero del passato e dei poteri della nonna?
Bene, fallo.
Non lo fai pero' limitando la questione ad un'inquietantissima ('na roba del genere) conversazione tra zio alcolista e nipote legatissimo alla nonna. Vai piu' a fondo, porca miseria, ammaliami, incantami, inquietami.
Un cavolo di niente, OREZ.
Allora cosa facciamo, la mettiamo sul comico?
Facciamo una buffa scena in cui i due fratelli cercano di aprire il libro malefico con i caschetti in testa nascosti dietro al fieno?
Non mi basta.


Quindi, cosa vuoi da me, Cornwell?
Perché se volevi spaventarmi a morte facendo uscire dalla bocca della donna versi incomprensibili in lingua satanica diciamo che farla barrire come un elefante non e' stata una gran mossa. Lo sappiamo tutti che ai simil-posseduti sono molto sensibile, non e' possibile non riuscire a far paura nemmeno a me, non e' possibile.
E il libro? Buttato li' come un fondamentale elemento della vicenda e poi dimenticato? E quella specie di Gramo?

Quando leggevo il racconto, di sera, a volte mi fermavo e mi chiedevo se era il caso di proseguire perché avrei preferito evitare di non dormire dato che la mattina c'era scuola. Potente come pochi. Quando guardavo il film, a volte mi fermavo e mi chiedevo se era il caso di proseguire perche' mi stava facendo schifo.

E poi, davvero.
Dylan McDermott?



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