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domenica 3 gennaio 2021

Parliamo di Sanpa

18:45

 Sono reduce da un chiusone sulla nuova chiacchieratissima docuserie su Netflix, e figuriamoci se non potevo avere così tante opinioni da scriverci un post sul bloggetto. 

E infatti eccolo qua.

La docuserie, uscita solo pochi giorni fa, dura 5 episodi e attraverso una serie di interviste vuole riaccendere i fari sulla questione San Patrignano, la più famosa comunità per tossicodipendenti italiana.




AMMESSO ABBIA SENSO FARNE UNO IN CASI DI DOCUMENTARI, SPOILER ALERT


Una consueta ma necessaria premessa: le mie sono le opinioni di una persona nata nel 1990, che ai tempi d'oro e degli scandali della comunità era o ancora insieme agli angioletti in cielo o troppo piccola per capirli, e che ha anche l'enorme privilegio di non avere mai avuto contatti diretti con il mondo della tossicodipendenza ma solo con altre dipendenze. Questo fa sì che io abbia un approccio quanto più possibile neutrale: non conosco le persone coinvolte e non ho alcun ricordo personale del periodo, quindi tutto quello che so l'ho appreso dalla serie. 

Tanto per dire due parole sulla serie in sé, ché tanto poi lo so che finirò a parlare di tutt'altro come mio solito, a me è molto piaciuta. Trovo che abbia fatto la saggia scelta di intervistare ogni parte in causa, tra quelle disposte a dire qualcosa, anche quelle meno piacevoli. Anche quelle che si auto umiliano ogni volta che aprono bocca (un caro saluto a Red Ronnie che ci segue da casa), anche quelle che obiettive non lo potranno essere mai, anche quelle scomode. Si fanno parlare tutti, e si ha la ancor più saggia accortezza di dire quali persone, invece, hanno preferito non parlare. Il classico stampo americaneggiante senza narratore ma solo con interviste e immagini di repertorio mi piace, è un formato che guardo sempre volentieri e che mi coinvolge. 


Si parla, tanto per dare un minimo di contesto a chi non abbia aperto internet in questi giorni, della comunità del riminese, della sua fondazione nel 1978, della sua crescita e soprattutto del suo fondatore, Vincenzo Muccioli.  La comunità nasce per ovviare ad un gigantesco problema sociale che negli anni '70 piegava il paese: i giovani si drogavano e nessuno li aiutava. Viene sottolineata da ogni parte in causa la totale assenza dello Stato, il deliberato ignorare l'immensità di un problema che stava sotto gli occhi di tutti. Sanpa nasce per coprire questo buco. Il suo fondatore, Muccioli, mette l'azienda agricola e gli allevamenti di famiglia a disposizione del sociale, chiudendosi completamente proprio a quella società. Chi entra a Sanpa ci resta, e se non ci vuole restare viene fatto restare. Questo solo all'inizio del primo episodio. 

La prima parte della serie si concentra, quindi, sulla droga e i drogati. Spesso chiamati (con la scusa del "Così erano visti dalla società") feccia, ai tossicodipendenti viene riservato un trattamento che visto oggi è raccapricciante. Non persone ma malattie, curate a forza di sberloni (ma dati con l'amore di un papà, s'intende), legate in luride cantine e trattate con un'infida superiorità mascherata da compassione. I poveri drogati, di cui nessuno si occupava, vengono chiamati da Muccioli figli, vengono ripescati se tentano di andarsene, vengono guardati con quel canonico sguardo che si rivolge al diverso. 

Quando poi i primi scandali iniziano ad emergere, la catena di orrori che la serie pian piano sviscera è una discesa verso l'inferno. E non intendo necessariamente le cose accadute all'interno della comunità, o comunque non solo quelle. A urtare è soprattutto l'opinione pubblica, il ruolo della stampa, la cieca ottusità di chi non vuole vedere. L'uomo tanto bravo ad irretire i più deboli con le parole si sentiva legittimato a fare quello che più gli aggradava delle vite dei giovani che ospitava anche perché (o forse proprio perché) erano le loro famiglie a chiederlo. Sono innumerevoli le interviste a genitori disperati che lasciano di proposito che ai loro figli venga fatto di tutto purché escano dalla dipendenza, e sta qua il primo step dell'orrore. Sfruttare persone nel pieno della sofferenza, della disperazione, ed estorcere loro interviste volte a proteggere l'immagine di un supposto santone (con tanto di esoterismo e imposizione delle mani, ignoreremo questo particolare) è becero e in cattiva fede. Chiedere a genitori che spesso non hanno le competenze necessarie, ma soprattutto a volte non hanno la lucidità di pensiero necessaria, se sarebbero disposti a vedere il loro figlio segregato piuttosto che morto è una delle più grandi bassezze di cui l'umanità è capace. Prendere a piene mani la disperazione altrui per sentirsi legittimati ad abusare del proprio potere è squallido, infame, vigliacco. 

E quindi via, il primo scandalo va sotto il tappeto. L'immagine di Muccioli è sana e salva, una piccola promessina al giudice di non farlo mai mai più e Sanpa non si scalfisce nemmeno. L'importante sono i numeri, i numeri dei ragazzi salvati, dei giovani figli di Muccioli che escono dalle catene (quelle sì, signora mia, che sono catene che fanno male) dell'eroina ed ecco un bel sorriso tornare sulle labbra dell'opinione pubblica.


Già questa prima metà della serie mi aveva fatto inveire contro la televisione, vi dirò. Non era nulla rispetto a quello che sarebbe arrivato dopo, ma già io mi stavo scaldando. Il ritratto di Muccioli che ne emerge è quello di un uomo così concentrato su se stesso che anche durante il funerale di uno stretto collaboratore morto di AIDS all'inizio dell'epidemia pronuncia solo le parole io, io, io. Sembra davvero avere quel classico autoamore che hanno spesso le persone così annebbiate da se stesse che si convincono di fare del bene quando invece quello che stanno facendo è solo lucidare la propria immagine allo specchio. Non fraintendetemi, io sono certa che tantissime persone siano uscite da Sanpa con la vita rivoluzionata e, soprattutto, salvata, penso solo che a Muccioli la sola persona che importasse fosse se stesso. 


Dalla seconda metà, però, ci si dimentica della droga, perché tutto quello che gira intorno a Sanpa diventa un immenso circo, e ci si scorda perché si è lì. Iniziano a girare tanti, tantissimi soldi, gentilmente offerti dalla benvoluta famiglia Moratti, si comincia a parlare di violenza, giri illeciti di denaro e animali e, naturalmente, morti. San Patrignano cresce, e cresce, e cresce, fino a diventare una cittadina autonoma. Si esce? Ma chiaro che no, e se ti azzardi a prendere un caffè al bar sono vessazioni e umiliazioni. A che serve uscire? Fuori c'è il male tentatore, e dentro hai tutto quello che ti serve. Ricorda Ballard? Ricorda Ballard. 

Osi lamentarti del cibo? Non puoi, perché come viene chiaramente detto dal nostro Muccioli è che non puoi chiedere vengano esercitati diritti perché, e cito, "Ma quali diritti?" 

Da storia di tossicodipendenze diventa la più miserabile storia di potere e del suo costante e crescente abuso. Il capo che gira in Jeep per il suo territorio per controllare che sia tutto ok, salvo poi dichiararsi estraneo ad ogni fatto quando questo sia di natura criminale, regole ai limiti del paradossale, caratteristiche sempre inquietantemente più simili a quelle di una setta che a quelle di una comunità di recupero. Persone e personalità completamente annullate in virtù di un supposto bene superiore che qualcuno si permette di decidere per te, traumi costanti.

E infine, il degenero. La comunità diventa talmente grande che Muccioli non può più controllarla interamente da solo e inizia a delegare, ma basta studiare un minimo la storia per sapere che quando quello che deleghi è potere assoluto e incontrollato non fai che moltiplicarne la pericolosità, soprattutto quando è ai danni di persone che non hanno la benché minima possibilità di reagire. Intendo proprio sbarre alla finestre, gente ammanettata al letto e documenti sequestrati. Si arriva a nascondere alle persone informazioni fondamentali sul proprio stato di salute, un fatto di eccezionale gravità di per sé, con l'assurda aggravante di accadere nel bel mezzo di un'epidemia che negli anni '80 uccideva una persona alla volta una generazione intera. La parte sull'AIDS è raccapricciante. Ecco che allora le donne iniziano a venire stuprate (non parlerò di quello che dice Muccioli a riguardo, è così dannoso che ho quasi il sospetto che io lo avrei tagliato dal documentario, anche se aiuta a delineare l'immagine dell'uomo), le persone sono ancora più spesso malmenate, tutta la posta viene controllata (come in guerra, per intenderci), e finisce nell'unico modo possibile: ci scappano i morti. 

Due suicidi (o supposti tali? lo pensiamo tutti, dai), e un omicidio vero e proprio. Non un omicidio commesso tra gli utenti della comunità, ma ai danni di uno degli utenti commesso da uno dei responsabili. Dice Red Ronnie, miserabile rimasuglio di umano, che un solo omicidio in 30 anni di vita di una cittadina non sorprende in negativo, ma in positivo, perché è un miracolo!!!

Ma San Patrignano non è una cittadina. Non è semplicemente un paese, dovrebbe essere un centro di solidarietà, di supporto a persone in difficoltà, e proprio in un centro del genere è assolutamente imperdonabile e inqualificabile che il potere sia dato in mano a persone che lo esercitano abusando di una violenza ingiustificata e ingiustificabile, dove le botte e i soprusi erano all'ordine del giorno e dove nessuno faceva nulla per interromperli. I giovani non solo entravano a Sanpa nel momento peggiore delle loro vite, in cerca di un disperato aiuto, ma dovevano anche subire le piccolezze di piccoli uomini che si sentivano così tanto grandi. Nessuno, tanto per capirci bene, ha mai pagato nulla. 


Parlano nel documentario persone che ancora oggi amano profondamente la sua immagine, primo tra tutti il figlio, e persone che con il tempo hanno trovato il modo e la forza di allontanarsi da una persona che a tutti gli effetti erano arrivati a percepire come pericolosa. Oggi Muccioli è morto, quello che resta è la rabbia di chi non ha mai avuto né la verità né, figuriamoci, giustizia. Dall'altro lato, chi non ha mai voluto vedere continua a difendere posizioni indifendibili, mostrando anche a distanza di anni zero empatia e zero rispetto per il prossimo. 
Il documentario si chiude in modo molto infelice, con un chiusone che non fa altro che definire ulteriormente i personaggi ritratti. Muccioli muore di un male misterioso, in brevissimo tempo, e a nessuno viene detto di cosa si tratti. Girano voci, però, come girano ovunque, e sembra davvero che anche lui avesse contratto il virus dell'HIV. Non sorprende, ad un certo punto nella comunità erano positivi due terzi degli ospiti. Insieme a questa voce, però, gira anche quella della presunta omosessualità di Muccioli, e di una presunta relazione con quel collaboratore morto di AIDS che vi dicevo qualche paragrafo più su. Forse la sola persona legittimata ad avere qualcosa da dire a riguardo sarebbe stata la moglie, unica persona a cui poteva importare della sessualità del marito, che però è mancata lo scorso anno. Invece l'opinione che sentiamo è quella, di nuovo, di Red Ronnie, che grossomodo dice che avendo finito le cose da criticare a Muccioli, i suoi detrattori adesso si siano inventati che era fr*cio. (La parola l'ho censuata io perché non è accettabile, figuriamoci se Red Ronnie si poteva fare sto riguardo.)


L'argomentazione di coloro che Muccioli lo hanno sostenuto è una sola, per tutte e 5 le puntate: ha aiutato tante persone.

E a me, oggi, il fine che giustifica i mezzi non solo non basta, ma non va più giù. Nemmeno se il fine da ottenere è la lotta alla droga. 

Meno male che per un po' si è visto Pannella, va là, che nella prima puntata si vede Montanelli e credevo che avrei vomitato.

martedì 4 agosto 2020

Chiacchieratina sul True Crime

10:19
Qualche tempo fa ho letto qualcuno su twitter dire che il true crime è la pornografia delle donne bianche. Non sono certa di poter dissentire.
Quel che è certo è che ultimamente ho fatto incetta di prodotti su questo genere: podcast, serie tv, libri..e ho pensato di metterli tutti insieme per parlarne.
Il trigger warning necessario è che si parla di storie vere. Magari in qualche caso romanzate o adattate al media in cui vengono affrontate, ma sono persone reali, casi giudiziari reali, e capirei se la cosa potesse in qualche modo risultare indigesta. Se si è empatici il minimo sindacale per potersi definire umani spesso è una sofferenza.
Perché farlo, allora, si chiederebbe il saggio.
Eh, quando potrò permettermi di andare in terapia ve lo saprò dire.

Photo by Tingey Injury Law Firm on Unsplash

PODCAST

  • Serial è il papà dei podcast true crime. Ogni stagione affronta un singolo caso in così tanti dettagli che viene voglia di aprire il proprio fascicolo delle indagini. La prima stagione è inarrivabile.
  • Veleno. Di lui ho già parlato, ma due cose veloci le dico comunque. Si tratta del podcast di Pablo Trincia, di recente trasformato anche in un libro che non ho letto, che tratta di uno sconvolgente caso avvenuto dalle parti di Modena. Diversi bambini sono stati allontanati per sempre dalle loro famiglie, accusate di reati allucinanti come satanismo e pedofilia. L'indagine su cosa sia davvero successo è da incubi.
  • Bouquet of Madness. Due amiche youtuber (delle quali una è Federica Frezza - prismatic310 -, ormai onnipresente su questo blog) si raccontano casi irrisolti e misteriosi da tutto il mondo. Adorabili loro e scelte benissimo le storie.
  • My favourite murder è quello che mi piace di meno. Ha una struttura molto simile a BoM ma trovo molto meno piacevoli le host. Ridere di cose tremende è per qualcuno accettabile, ma bisogna saperlo fare e non sono certa sia il loro caso.
  • Demoni urbani è tutto italiano, e racconta vicende di cronaca nostrane più o meno note. Interessante ma trovo un po' noiosa la scrittura, lo ascolto a piccole dosi.
I prossimi che ascolterò: Up and vanished, Missing&murdered: Finding Cleo, Believed, Morbid, The lost kids. Se ne conoscete altri io sono aperta ad ogni consiglio possibile!

TELEVISIONE
  • Unsolved Mysteries è una delle recenti aggiunte di Netflix. Sono pochi episodi e tutti (tranne uno) lasciano il cuore a pezzi. Un prodotto ottimo, ma fruirne con cautela, è devastante. Siccome è una nuova stagione di una serie storica, vi verrà la curiosità di scoprire com'era l'originale: sono quindici stagioni, tutte su youtube. Le trovate qui, buon viaggio.
  • Processi mediatici, sempre di Netflix. Nello specifico questo si concentra su come l'attenzione dei media possa influenzare non solo l'immagine pubblica di un reato, ma anche l'effettivo svolgersi del processo. I primi episodi soprattutto sono una bella batosta.
  • Vale se segnalo che su youtube ci sono anche tutte le vecchie interviste di Franca Leosini?
  • Dear Zachary non è una serie ma un singolo documentario. Quando l'ho visto io, tempo fa, era su netflix, non so se ci sia ancora. Con questo cautela assoluta, perché cadere dalla bicicletta e spaccarsi un braccio fa meno male di lui. Bellissimo ma straziante oltre le parole.
  • La scomparsa di Maddie McCann, sempre Netflix, sempre un caso di scomparsa. Questo poi l'ho guardato semplicemente perché era una storia recente che ricordavo personalmente. Senza infamia e senza lode per realizzazione.
LIBRO (perché è solo uno)
  • L'avversario, di Emmanuel Carrère. La ormai mitologica storia di Jean-Claude Romand e dell'omicidio che ha commesso ai danni della sua famiglia per coprire decenni di gravissime bugie. Primo Carrére che leggo, ha uno stile scorrevolissimo e senza fronzoli, che forse è il solo modo per raccontare una storia come questa. La storia è così incredibile da non poter essere altro che vera e il libro la racconta con la semplicità di un giallo da spiaggia.
Che opinione avete del true crime? Lo vivete come un modo per portare nuova luce su qualcosa che merita di essere rivisto o è davvero una voyeuristica mania di guardare la sofferenza altrui?

venerdì 8 marzo 2019

Period. End of sentence.

13:44
Buona Giornata Internazionale della Donna! Che sia, come mi auguro ogni anno, lo spunto per migliorare quello che non va. La strada da fare è tanta, ma non ci ha mai spaventato.
Per festeggiare, quindi, parliamo di ciclo.


Anno del Signore 2019, Italia.
Qualche settimana fa ho tagliato i capelli e fatto la frangia. (Sì, sono in lutto e no, non ne voglio parlare.) Quando ho detto a mia mamma che sarei andata si è raccomandata una cosa: "Controlla di non avere il ciclo che poi sai che i capelli non vengono bene."
La settimana prima sono andata a trovare la mia proziotta amatissima, la cosa più simile che ho ad una nonna. Mi avvicino ammirata ad un suo ficus di più di dieci anni, allungo una mano per sfiorarlo ma lei, sfoderando una velocità inaspettata per i suoi 90 anni, mi ferma e mi chiede: "Non hai le tue cose vero nani? Non mi toccar la pianta se hai le tue cose che me la fai marcire."
(Nani, vezzeggiativo cremonese, cfr con Nano, versione mantovana.)

L'Italia vive in questa fase di mezzo: la parte meno istruita della popolazione crede ancora ad antiche dicerie sul ciclo e ne parla poco e malvolentieri, un'altra parte, più fortunata, sguazza tra i mille tipi di assorbenti di cui disponiamo (ma che ricordiamo sono beni di lussissimo tassatissimi) e addirittura sta cercando modi per gestire il ciclo che siano meno impattanti per l'ambiente.

Quando pensiamo ai milioni di problemi che hanno i paesi meno sviluppati, spesso ci capita di dimenticarci di pensare ad alcune cose che per noi sono scontate. Ecco allora che intervengono prodotti come Period. End of sentence. che, con un titolo bellissimo, ci porta in India, a capire quali problemi causi alle donne avere il ciclo mestruale e cosa The Pad Project sta facendo per aiutarle.

Un piccolo passo indietro.
Il documentario ha ricevuto alcune critiche severissime, ve le linko qua.
Io direi che la visione di un documentario di mezz'ora, perché così dura, e un solo articolo non fanno di me una persona preparata per esprimere un'opinione certa, quindi mi limito a lasciarvi anche la voce contraria, in modo che possiate farvi un'idea o approfondire la questione se lo ritenete.

Adesso possiamo parlare del documentario, che si apre con una squadra di ragazze che al solo parlare del ciclo davanti ad una telecamera impallidiscono. Risatine imbarazzate, ben poca voglia di toccare l'argomento e pochissima conoscenza.
Nella loro normalità il ciclo è un tabù tremendo che non solo rende complicata la quotidianità, ma che arriva ad avere conseguenze su tutto il futuro delle donne. Le ragazze smettono di studiare, spesso, quando il ciclo arriva. E non come noi che stiamo a casa un giorno al mese, poi facciamo la giustifica sul libretto e torniamo a scuola felici, contente e con gli assorbenti freschi e profumati.

Alle ragazze del piccolo villaggio che sta fuori Nuova Delhi viene inviata, dall'associazione The Pad Project, appunto, una macchina che produca con costi ridottissimi, assorbenti igienici che siano alla portata (economica) delle loro amiche, sorelle, vicine. Inizia una piccola impresa, di donne che producono e vendono assorbenti.
Non si è solo mandato loro un modo per aiutarle a contenere il sangue (30-40 ml per un ciclo medio che ci portiamo a spasso e che da qualche parte dovranno andare a finire), non sono solo stati mandati loro degli assorbenti. Hanno ricevuto la libertà.
E vedere donne che solo qualche scena prima avevano paura solo a dire che cosa succedesse al loro corpo (ogni mese, per ben più di metà della vita) stare sedute insieme a scegliersi gli assorbenti, a parlarne, finalmente, a trovare supporto l'una nell'altra, a lavorare per la prima volta, a rinunciare al timore, è stato molto commovente. Una delle ragazze ha preso delle monete in mano, le ha guardate perplessa per un po', e poi ha esclamato: 'Soldi! In tasca mia!' e aveva un sorriso così grande, che il mio cuore è rimasto lì.

Essere femministi oggi non significa solo combattere per i cartelli deficienti della Lega di Crotone (Lega. Di Crotone.). Le donne che crescono e hanno grandi opportunità possono fare grandi cose, e a volte queste grandi cose comprendono aiutare le altre, che cresceranno e a loro volta aiuteranno, in una grande e solidale rete di supporto che ci può portare fino alle stelle.
No, 'ci' non vuol dire noi donne.
Vuol dire noi umanità, tutta quanta.
Forse non tutte potremo mettere in piedi un nuovo Pad Project, o un nidi gratis project, o un antiviolenza project.
Ma forse qualcuna sì, e allora continuare a combattere ne sarà valsa la pena.


sabato 15 luglio 2017

#CiaoNetflix: Holy Hell

11:38
Per qualche motivo siamo (plurale maiestatico) attratti dalle cose cupe, macabre, malsane. Serial killer, casi irrisolti, sette, luoghi infestati. Il mondo è pieno di gente affascinata da queste cose e io vorrei dire che non lo sono, ma mentirei sapendo di mentire. Perdo le serate a leggere di storie come quella di Cicada 3301, o sulle creepypasta, o sulle leggende metropolitane, come un quindicenne.
Le sette sono quelle che attraggono la parte più 'adulta' di me. Il modo in cui umani normalissimi vengono circuiti completamente da altri umani quasi normalissimi è per me fonte di incredibile curiosità. Netflix lo sa, e quindi mi propone Holy hell.

il trash di questa foto è quasi ammirevole
Buddhafield è stata una setta, attiva indicativamente per una ventina d'anni, guidata da Michel Rostand. A girare il documentario è uno dei membri che ha lasciato la comunità alla luce di terribili rivelazioni sulla guida spirituale a cui tutti si sono affidati così a lungo.

Ora, lo 'spoiler' non credo nemmeno sia tale. Se avete un minimo di conoscenza base sul mondo delle sette sapete che il sesso è uno degli elementi che per primi vengono ridiscussi. La sessualità non è quasi mai serena e convenzionale, ma diventa uno strumento, e Buddhafield non è certo da meno. Il passato di Michel è senz'altro più divertente, ma quando si parla della comunità tutto si fa più inquietante.

Buddhafield ha trovato nei suoi seguaci una folta comunità di persone dalla fortissima fede religiosa. Come spesso accade si è attaccata come una malattia tra chi ha avuto un vissuto complesso (il regista, per esempio, era stato cacciato di casa dai genitori perché omosessuale) e finisce per rovinare definitivamente menti già fragili. La cosa sconvolgente è quanto all'inizio Michel abbia sfruttato in un modo sporchissimo la fede di chi non aveva altro che quella. Ora, io non credo, ma so quanto la religione sia importante per chi ha una fede onesta. Lo so che pare strano credere esistano veri credenti, ma esistono eccome. Prendere un lato così forte della vita di qualcuno e sfruttarlo in modo così sfacciato, proponendo reali incontri con dio per esempio, è stata la manovra più subdola di Michel. Quello che accade dopo è una conseguenza di questo becero sfruttamento e del lavaggio del cervello che ne è seguito.
Le persone come Michel mi intrigano sempre per quello che riescono a fare a chi li circonda. Io non sono capace di convincere il mio moroso ad iniziare Sense8, questo convinceva degli sconosciuti a lasciare le loro vite per entrare nella sua, di esistenza. Ha convinto estranei ad idolatrarlo, a fare di lui la divinità che lui stesso ha sempre creduto di essere. Per me è una capacità incredibile. Ingiustificabile, ma incredibile.

Come spesso accade, il documentario è realizzato montando interviste alle persone scappate dalla setta e filmati reali della vita di Buddhafield, e se da un punto di vista 'tecnico' non mi ha colpito particolarmente, è senz'altro molto intenso. Buddhafield ha cambiato la vita di centinaia di persone, che ne porteranno i segni per sempre. E tutto per mano di una persona sola.

martedì 4 ottobre 2016

#CiaoNetflix: Amanda Knox

15:40
La nostra splendida Costituzione dice (all'articolo 27) che si è considerati innocenti fino a condanna definitiva.
La nostra (a volte) miserabile popolazione dice che se compari in tv associato ad un omicidio, allora sei colpevole. E se ti assolvono è colpa della giustizia e dei poteri forti e delle scie chimiche.
Amanda Knox, per la quale nessuno di voi necessiterà di alcuna introduzione, mi è sempre stata di un'antipatia allucinante. E sì, anche io a volte sono scaduta nella trappola del 'È stata sicuramente lei'. Ma quanto mi ha affascinato il suo essere eletta super paladina delle vittime del sistema negli Stati Uniti! Arriva il documentario su Netflix, mi ci fiondo perché i documentari di Netflix > tutto il resto.


L'inizio è folgorante. La Knox, su sfondo grigio dice questa cosa che trovo pazzesca, e ve la riassumo: se sono colpevole faccio paura, perché non vi aspettereste che una così sia un'omicida, se sono innocente significa che tutti siamo vulnerabili. Quindi o sono una psicopatica o una di voi.
Qualunque sia la sua posizione, ha ragione da vendere perdio.

Prima di entrare nel merito del caso specifico, però, diciamo la solita cosa: Netflix ha una cura nel realizzare documentari che è impareggiabile. Sono quasi tutti medio-brevi (si parla di un'ora, massimo un'ora e mezza ciascuno), intensi, curati, appassionanti. Solo per questo varrebbe la pena di fare l'abbonamento. Le immagini sono quasi cinematografiche, e i toni non sono mai melò nè pedagogici. Splendidi e basta.

Torniamo al caso Kercher.
Il doc si propone semplicemente di raccontarlo, dall'inizio alla fine. Con chiarezza e completezza hanno preso tutta la vicenda e l'hanno completamente vivisezionata sotto i nostri occhi, partendo dalla tesi che ha dato a lungo Knox e Sollecito come colpevoli, arrivando alla sentenza di assoluzione definitiva, e spiegandocene le motivazioni. Come al solito non si prendono parti, si ascoltano le persone coinvolte, si leggono i giornali, si ascoltano i notiziari, si analizzano i documenti ufficiali. E la conclusione è che sì, a dispetto dell'opinione pubblica pare proprio che i due siano innocenti. La storia finisce così.

Quello che è successo nel frattempo, però, è che due vite ne sono comunque uscite rovinate (non parleremo di Meredith perché anche il documentario in questo è molto elegante e non si sofferma su qualcuno che non può dire la sua): i giornali di tutto il mondo hanno perlustrato vite private anche in quegli ambiti che ci piace tenere chiusi a chiave, il bigottismo universale si è palesato in tutta la sua gloria, rovinando l'immagine di una donna la cui sola colpa è stata, pensate un po', fare tanto sesso con tante persone.
E allora brutta Amanda, non sei seria, sei una zoccola (ma anche cagna ci piace tanto dirlo, vero?), devi per forza essere stata tu con quella mente da piccola pervertita che voleva fare il sesso strano e la povera Meredith non voleva e allora l'hai ammazzata. Trovato il nomignolo, l'umiliazione era ormai pronta e calda da essere servita. (Ma ci pensate se tutto il mondo vi chiamasse con il nick che vi eravate messi su social preistorici? Fuori allora i vostri nomi su Netlog, Myspace, 2.0, MSN, chè secondo me rideremmo tutti un po')

L'Italia non ne esce benissimo, va detto. Ci sono certe scene di perculo che mi hanno ferita, perché questo Paese lo amo tanto anche se a volte lo picchierei selvaggiamente. Credo che, alla luce di come si sono conclusi gli eventi, Giuliano Mignini (pubblico ministero colpevole di aver accusato la coppia) abbia fatto una bella figura a comparire nel documentario. È un uomo che ha sbagliato, e il cui errore ha causato sofferenza, ma che piuttosto che nascondersi e difendersi ha preferito comparire e dire le sue ragioni, con calma e consapevolezza.

Un tremendo lato dell'umanità si palesa, in Amanda Knox: i malefici media, rappresentati dalla ripugnante personalità di Nick Pisa. Questo, per tutto il tempo, parlando di una tragedia in cui, ricordiamolo, un essere umano ha perso la vita e altri due hanno fatto anni di carcere da innocenti, RIDEVA. Lo stavano intervistando su un caso storico di cronaca, su una pagina poco gradevole di storia, e questo sghignazzava, perché 'siamo fatti così', perché 'vedere il tuo articolo in prima pagina è bello quanto il sesso', perché 'è così che funziona il mondo delle notizie'. Ovviamente, non mi metterò a fare la stessa cosa che Pisa stesso ha fatto, ovvero la pubblica gogna. Il web ci sta già pensando da sè. Lui è parte di un sistema più grande, per cui se lui ha bisogno di questo per sopravvivere come giornalista (e se quindi la testata ha bisogno di lui) è perché noi, miserabili, di queste cose ci campiamo. Perchè siamo curiosi fino alla nausea, perché crediamo di avere il diritto di sapere, perché ne siamo lontani, e allora siamo dispiaciuti ma non ci fa male. E mi ci metto anche io, che mi sono guardata il documentario a pochi giorni dall'uscita, perché ne ero affascinata.

In ogni caso, fossi in voi lo guarderei comunque. Se non altro per imparare che ogni caso di cronaca con così tanta risonanza non è mai solo quello che sembra.

lunedì 8 dicembre 2014

Non solo horror: Sugar Man

17:28
Un lato di me che credo non sia mai emerso da Mari's Red Room è la mia maniacale attrazione per la musica. Esattamente come per il cinema, il mio atteggiamento nei confronti di ciò che mi appassiona è una costante irrequietezza, un senso di insoddisfazione che mi porta alla continua ricerca di altro.

E' per questo che sono incappata nella visione di Searching for Sugar Man.
Io Rodriguez mica lo conoscevo, come non lo conosce la maggior parte delle persone.

Lo conoscevano però  Stephen "Sugar" Segerman e Craig Bartholomew-Strydom, decisi a svelare il grande mistero che ruotava intorno al loro cantante preferito, creduto morto in circostanze misteriose.

Sugar Man mostra quanto gli esseri umani possano dare agli altri. Mostra quanto certe persone siano semplicemente portatrici di poesia. I produttori, dopo anni ed anni ed anni, ancora si incantano ad ascoltare i brani di Rodriguez durante l'intervista. E ne parlano con gli occhi sbalorditi e incantati di chi ha avuto a che fare con la poesia, quella vera e disincantata, che non conosce il suo potere.


 Un uomo comunissimo, un muratore, che aveva la luce dentro, e l'ha donata al mondo.
Il mondo, quasi tutto, non l'ha saputa cogliere, l'ha lasciata assopire mattone dopo mattone, mentre in Sudafrica avevano chiaro in mente con chi avevano a che fare.
Sì, perchè mentre negli Stati Uniti Sixto Rodriguez era un comunissimo figlio di immigrati dal lavoro umile, una copia del suo album finiva nel Continente Nero, e lì esplodeva. L'umile figlio di immigrati dal lavoro umile diventa il mito, la leggenda, l'eroe che motiva con le sue (splendide) parole la lotta contro l'apartheid, la voce che dà alla gente in difficoltà la speranza, la voglia e la forza di cercare quella giustizia costantemente negata.
E lui non lo sapeva.
Continuava le sue giornate, il suo lavoro, la sua vita, completamente ignaro del successo incredibile che i suoi due album stavano incontrando in Sudafrica.
Ha messo su famiglia, sarà anche stato felice.
Ma il suo sogno si era realizzato, e lui non lo sapeva.

La musica non è mai solo tale.
Certo, non tutti potranno esserne appassionati, non tutti ne sono toccati.
Ma quando le consenti di entrarti dentro, si prende una fetta talmente ampia della tua emotività da non sapere più dove inizia e dove finisce.
Per questo se un autore diventa così grandioso in un certo paese, in un certo momento, in un certo periodo storico, è perché quello che ha da dire è oltre la mediocrità, è oltre la banale canzoncina che sicuramente vincerà X-Factor. E' Arte.
E' Magia.


E se già la storia di Rodriguez è incredibile, il documentario tratto è davvero all'altezza.
Rende giustizia ad un uomo che ha cambiato molte vite, ma che ha conservato l'umiltà della propria. Indaga in modo delicato e mai invadente su una vita così misteriosa e apparentemente banale. Un film dolcissimo, quasi pervaso di surrealità.
Certo, la soundtrack dà una buona mano.

Cosa può significare svegliarsi una mattina e realizzare che ci sono migliaia, milioni di persone che sono state illuminate dalla luce che tu hai messo nella tua arte? Che impatto può avere su un modesto carpentiere con un fallimentare e breve passato da cantante realizzare che di fallimentare non c'è stato proprio nulla? Quanto può essere emozionante trovarsi su un palcoscenico, in un età in cui il sogno di un tempo è ormai archiviato, e scoprire che così tante persone ti hanno amato per tutto questo tempo? Il solo vedere quelle immagini, la folla in delirio, e lui che non comincia a cantare perchè tutti loro continuano ad urlare la gioia di averlo finalmente lì, dal vivo, regalano un'emozione fortissima.
Mi auguro che sia stato per lui straordinario.

Come è stato per me incontrare la sua musica.


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