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venerdì 1 dicembre 2017

Alias Grace

16:45
Volevo lasciar passare qualche giorno tra la mega chiusa che ho fatto ieri pomeriggio e il post su Alias Grace, la nuova serie Netflix tratta dal romanzo di Margaret Atwood. Principalmente perché mi servirà ancora qualche giorno per digerirla del tutto e poi perché è il quarto post in quattro giorni, e io faccio o troppo o niente.
Per stavolta vada per il troppo, la Atwood si merita questo e altro.



La Grace del titolo è una donna irlandese, emigrata in Canada da ragazzina, che deve scontare una pena in carcere per omicidio. Il dottor Jordan viene assunto per farle una valutazione psichiatrica, in modo da poter tramutare la sua pena in una diagnosi di isteria, in modo da farla scarcerare. Inizia così una serie di incontri in cui Grace si racconta al medico, dal momento del suo arrivo in Canada fino al giorno degli omicidi di cui è accusata.

Più di una cosa scritta da Margaret Atwood all'anno è autolesionismo. Se The Handmaid's Tale mi aveva lasciata ad un ameba informe di sofferenze, qua non siamo caduti tanto lontano. La narrazione è intima ed emotiva e il percorso di vita di una donna dell'800 è tutto tranne che delizioso intrattenimento. Mettiamoci il carico da mille, però: rendiamola un narratore inaffidabile.
La deliziosa Grace, che dai flashback appare creatura mite e pudica, ignara della malizia del mondo e profonda credente, a noi che la sentiamo parlare non appare proprio così. La comprendiamo corrotta dal manicomio prima e dal carcere dopo, e tanti cari saluti alla ragazzina che si prendeva cura dei suoi fratelli come se fossero figli suoi. La Grace che parla con il dottore è misurata e furba, sa quello che il dottor Jordan vuole sentirsi dire e perché, sa come dirlo e quando dirlo, e quando la situazione si fa più intrigante ecco sopraggiungere la sua lieve stanchezza, che le impedisce di proseguire. È scaltra e anche un'ottima attrice, con i suoi grandi occhioni celesti spalancati sul dottore che ormai ha l'ormone ballerino e se la figura in romantiche immagini sognanti.
Qual è la vera Grace? Quella che noi vorremmo fosse, l'innocente anima candida sporcata da una vita infelice o una donna crudele, indurita dalla vita e colpevole di un omicidio tremendo? L'ultimo episodio, da pelle d'oca e anche un filino di pauricchia di quella che si sente nelle viscere, dà risposte e allo stesso non ne dà, aprendosi ad almeno un paio di interpretazioni.

Le sue protagoniste hanno amiche che inevitabilmente ci spezzeranno il cuore. Laddove la Bledel che urla sul furgone ancora me la sogno la notte, è Mary che questa volta mi ha annientata. Mary la frizzante, Mary folle e libera, leggera come l'aria. La sua fine è stata un incubo. Dolorosissima, attualissima.
Le donne della Atwood non sono mai imbecilli. Magari sono ingenue, con uno sguardo infantile sul mondo, magari sono troppo fiduciose. Neanche tutte, in realtà. Ma ad un certo punto si svegliano, e non sono più cazzi per nessuno. Soprattutto per un motivo: sono spesso e volentieri complici. Non generalizziamo, ci sono le donnacce tremende che le vorresti fare fuori a pedate (ciao Anna Paquin, lo sai che parlo di te e anche a prescindere dalla parte) esattamente come nella vita reale. Ma non è un caso che i personaggi migliori siano quelli che fanno squadra. Le ragazze si consigliano, si mettono in guardia, si aiutano, si adorano. Fanno squadra e quando ci riescono diventano imbattibili.
Prendete esempio.

Se però non potete fare a meno di ammazzare una persona, tranquille: ci pensa Cronenberg a tirarvi fuori di galera.


giovedì 19 ottobre 2017

It

08:33
Avevo accolto la notizia di un nuovo It quasi tiepidamente. Non che fossi scettica, solo che non ero partita a mille, ecco.
Poi il film è uscito all'estero, con un anticipo ridicolo rispetto all'Italia, ed è uscito con il B O T T O.
Cifre astronomiche. Per un horror, quasi fantascienza.
Dopo lacrime di commozione e sempre crescente frustrazione legata all'attesa, il mio spirito, che nell'intimo è ancora un pochino cinico, ha immaginato che almeno il 60% del pubblico fosse composto da haters preimpostati pronti ad assaltare lo schermo con le balestre al grido di 'Tim, this is for you', citando la Donatella Versace nell'omaggio al fratello.
Invece anche questa volta la soluzione era la più facile: sono andati a vederlo tutti perché It è bellissimo.

Quando ho visto il titolo uscito così volevo piangere di bellezza


Dando per ovvio che conosciate almeno a grandi tratti la storia, passerei direttamente oltre. Se per caso invece non la conosceste, per favore, non cercatela. Lasciate che l'esperienza vi entri sotto la pelle perché vi garantisco che una volta sguinzagliato il pagliaccio, non ve ne libererete mai più.
It rappresenta un rito di passaggio nella vita dei lettori. Letto da giovanissimi, poi, è proprio un momento di separazione, perché dopo il romanzo di King la vita da lettori non è più la stessa. Chi l'ha letto da giovane ricorda distintamente il prima It e il dopo It. Io ricordo il primo giorno che ho visto il volumone in biblioteca, l'ho guardato per mesi prima di trovare il coraggio. Il punto veramente eccezionale, però, è che quando lo si rilegge (perché lo si rilegge...) magari si presta più attenzione ai dettagli, si va più in profondità, si analizza di più, ma delle cose importanti non cambia niente. E con cose importanti del mattone da combattimento kinghiano intendo la paura e l'amore.
Fingendo che la serie 1990 non esista, il film aveva tre possibilità: topparle entrambe, perché il rischio c'era, prenderne una e mollare l'altra, oppure, in una sorta di miracolo mariano, azzeccarle entrambe regalando un'esperienza impareggiabile.

Muschietti è al suo secondo film. Potevamo tutti tremare all'idea che toppasse, l'esperienza non era dalla sua. Invece Andy ci insegna che a volte non sono l'età o il curriculum a fare la differenza, ma l'intelligenza. Se già con Mama (fatta eccezione per la fine) a me aveva intrigata molto, adesso sono alla sua mercè. Fai di me quello che vuoi Andy, perché io ti amo. Ha ballato alla perfezione nell'equilibrio perfetto di un romanzo magistrale, che non solo faceva paura, ma che dava un calore impareggiabile. Il gruppo dei Perdenti è il vero punto di forza del romanzo. Bambini e basta, di un realismo che solo King, nel suo sempre splendido modo di parlare dell'infanzia, avrebbe potuto creare.

Nel film di Muschietti i Perdenti sono eccezionali. Oltre ad essere dei faccini da tenere sotto controllo singolarmente, perché sono stati tutti davvero bravi, sono stati un gruppo eccezionale. Bambini senza alcuna pretesa di eroismo, che hanno sincera paura e motivazioni non sempre altissime (la vendetta è molto presente), che vengono feriti, malmenati, sconquassati, sottomessi. Ma che si rialzano sempre, benda a coprire la faccia masticata e si torna a combattere. Sono bambini imperfetti, pieni di ansie e prese in giro sulla mamma, ma si vogliono un bene grande, tanto grande da superare l'istinto di sopravvivenza base. E il fatto che siano così cristallini dentro non era affatto scontato, perché come King fa sempre, e come Muschietti ha rispettato, tutti loro hanno alle spalle adulti di riferimento ben poco funzionali al loro ruolo di educatori. Gli adulti di It sono inesistenti, inutili, oppure dannosi. Non servono a niente nel caso, a cui comunque non crederebbero, e non sono di alcun supporto a dei bambini che stanno vivendo un'esperienza tremenda.

Ecco, l'esperienza tremenda. Quella, non preoccupatevi, la vivrete anche voi. Peché Muschietti non ha alcuna intenzione di farvi uscire sereni dalla sala: It fa una paura del demonio. Se già avevamo capito che Skarsgard era bello bello in modo assurdo dalle foto promozionali, qualcuno si era scordato di dirci che è anche mostruosamente bravo. Il suo Pennywise ha una mobilità eccezionale, un volto indimenticabile e, nel complesso, tende a farti salire una pellicina d'oca che te la levi forse forse la mattina dopo. Se dormi bene.
Siccome sappiamo da esperienze precedenti che una buona performance da sè non conta troppo se la sporchi di cacca tutto intorno, qui Pennywise viene quasi lodato. Il film ruota intorno a lui, viene valorizzato ogni suo piccolo sguardo, ogni suo movimento è sacrosanto. Intorno a lui è ricamata un'atmosfera spaventosa, che non fa niente per portare sollievo, neanche durante i momenti leggeri tra i ragazzi. Pennywise è sempre sullo sfondo e si fa proprio in modo di non farcelo dimenticare mai.
La scena del primo ingresso dei Perdenti nella casa di Neibolt Street è una scena lunghetta e piena, PIENA, di tensione. Non si molla un colpo, le sequenze spaventose sono una successione infinita che non dà un istante di tregua. È perfetta.

Si ride tanto, con questi Perdenti, e se non gli si voleva bene prima si esce dalla sala col cuore colmo di affetto. Poi, però, quando ti avvicini al corridoio luminoso del multisala è inevitabile voltarsi indietro preoccupati, It ha fatto il suo lavoro e ha fatto paura.
Tutto quello che gli serve per sopravvivere.

sabato 16 settembre 2017

Vampires! - Le notti di Salem

16:36


Quando iniziai a pensare al romanzo di vampiri che sarebbe diventato Le notti di Salem, decisi di provare a usare il libro un po’ come una forma di omaggio letterario e quindi il mio romanzo ha un'intenzionale somiglianza con Dracula di Bram Stoker, e dopo un po’ mi accorsi che quello che stavo facendo era giocare un’interessante, almeno per me, partita di squash letterario: Le notti di Salem era la palla e Dracula il muro contro cui la rimandavo, stando attento a come e quando rimbalzava, così da poterla colpire ancora. Andò che certi rimbalzi furono davvero interessanti, e questo è dovuto al fatto che, mentre la mia palla esisteva nel Ventesimo secolo, il muro era un prodotto del Diciannovesimo. Allo stesso tempo, poiché le storie di vampiri erano la materia prima dei fumetti horror con i quali ero cresciuto, decisi che avrei anche provato a inserire questo aspetto della storia dell’horror. (S. King, Danse macabre


Ho aperto il post nel modo che mi sembrava più corretto. Salem's lot, Le notti di Salem in italiano, è il secondo romanzo di Stephen King nonchè uno dei più grandi. Uscito nel '75, riletto oggi non perde un briciolo della sua inquietante bellezza. Per parlarne, quindi, c'era da partire dalle parole del legittimo proprietario.

Salem è l'abbreviativo di Jerusalem, una cittadina la cui tranquillità è scossa dall'arrivo di nuovi abitanti. Uno di questi è lo scrittore Ben Mears, molto incuriosito dalla storia terribile di Casa Marsten, la villa che si affaccia sulla città.

Nessuno al mondo, per quanto io possa saperlo con le mie limitate conoscenze, parla delle piccole comunità come Stephen King. Jerusalem's Lot è casa di tutti, è familiarità, routine, intimità, confidenza, fin dalle primissime pagine. È un paese in cui gli abitanti si conoscono da anni, in cui il professore ricorda tutti i suoi alunni, in cui non si possono fare le corna al marito senza che tutti lo sappiano e in cui la gente si saluta per strada chiamandosi per nome. Quello che ne esce è un ritratto semplice ma affettuosissimo.
Allo stesso tempo, però, questo è un romanzo di vampiri. Se posso permettermi, è anche un romanzo di vampiri coi contrococomeri, che regala strizza come confetti gli sposi. La dispensa così, a manciate abbondanti, sulla testa di noi poveri lettori che poi abbiamo i locali da chiudere la sera tardi e per non farcela sotto mandiamo messaggi vocali chilometrici a tutta la rubrica. Non che parli di me, sia chiaro.

Nel suo Danse Macabre SK dice che Le notti di Salem è un omaggio. A me sembra proprio una dichiarazione d'amore. Le dichiarazioni d'amore, quando sono sincere, sono belle a prescindere da come sono scritte. Accade però che ogni tanto, ed è decisamente questo il caso, le lettere degli innamorati siano ispirate, brillanti, potentissime. Dracula trasuda da ogni virgola, a volte in modo più sottile e in altre più palese, fino alla citazione diretta del mio adoratissimo professor Van Helsing. Leggere i due romanzi uno dietro l'altro è appassionante, diventa quasi un gioco. Stephen è fangirl come tutti noi del vecchio Bram, con la differenza che, mentre noi tagliamo gli articoli del Cioè e li appendiamo in camera, il suo fangirling si trasforma in uno dei più bei romanzi di vampiri (e non solo) che io abbia mai letto.

Uscita dal Lot, però, non ero pronta a lasciar andare i miei personaggi del cuore. Ero diventata cittadina, e non volevo salutare i miei compaesani. Mi sono quindi guardata la miniserie del '79, diretta da un tale Tobe Hooper, trasmessa dalla CBS. Hooper è morto pochi giorni dopo la mia visione, e l'infelice coincidenza è stata tristissima.
Un Barlow chiaramente attanagliato dai sensi di colpa

Il passaggio da un media all'altro è spesso impietoso, soprattutto quando si crea un legame forte con i personaggi del libro e si finisce per dare loro un volto e una voce che inevitabilmente finiscono per essere sostituiti da quelli scelti da qualcun altro per noi.
Quel Barlow, però, è una favola.
Avrebbe potuto avere ogni aspetto, e tanto ci avrebbe fatto paura comunque, però è stato scelto di usare il carico da mille e dare al vampiro l'aspetto che più gli si confà: quello del mostro. Di vaghiiiiiiissima ispirazione Nosferatiana (in che neologismi mi sono buttata?), il Barlow della serie non scherza proprio per niente. L'umanità non gli appartiene, non una parvenza di appartenenza alla nostra specie si intravede in lui. Chi lo biasima poi il povero Straker, suo discepolo e servo, se non ha il coraggio di disubbidirgli?
Questo fa paura, e lo sa benissimo.

Con mia estrema soddisfazione Hooper ha scelto di tenere quasi tutte le scene che nel libro mi avevano incollata alle pagine, riportandomi quindi non solo all'atmosfera intima della cittadina ma anche alla paura che avevo preso nelle pagine.
La trasposizione funziona proprio perché anche laddove adegua parti della storia alla sua nuova forma, non ne perde l'aria principale, rendendo ancora più difficile l'uscita dal Lot.

Voi, però, se ancora non avete vissuto la bellezza di arrivare a Jerusalem's Lot per la prima volta, fatelo, accomodatevi.
Avrete una gran paura, ma troverete casa.

domenica 3 settembre 2017

Vampires! - Nosferatu for dummies

15:27
In modo assolutamente non creativo la parte cinematografica dello speciale sui vampiri non può che partire con Nosferatu. È proprio previsto dalla legge marziale che si faccia così, non ho scelta.
Il destinatario ideale di questo post è il fruitore di cinema medio, quello non troppo appassionato ma che se la gode un po' e che non ha mai voluto guardare i film fossili per paura di dormire/non capire/ridere (selezionare voce a scelta). Ritratto peraltro pericolosamente somigliante alla me di qualche anno fa. 
Senza alcuna (giuro) pretesa di fare la maestrina mi piacerebbe parlare a loro di Nosferatu.


Intanto, ciao, fruitore medio di cinema che non ha mai voluto guardare i film fossili. Ti dò il benvenuto nella mia modesta magione. Ti immagino pronto ad addentrarti nelle antichità del cinema e come tutti i cristiani ti immagino a cercare informazioni nell'unico modo che conta davvero: Google. Cerchi Nosferatu e ti esce questa frase ormai scolpita nella storia: film del '22 diretto da Friedrich Wilhelm Murnau, caposaldo del cinema espressionista.
Caposaldo del Cinema Espressionista
(Leggilo piano, goditelo sulla lingua, perché adesso puoi iniziare a dirlo con aria snob, erre moscia finto francese per sbattere in faccia la tua cultura ai tuoi amici che vanno a vedere i film dei supereroi. Film che tu non vedrai più perché sei stato Iniziato.)

A questo punto, amico mio, ti immagino chiederti, con tutte le ragioni di questo mondo, che minghia vuol dire. Sono qui per te, perché potrei essermelo chiesto anche io, qualche tempo fa. E allora, lascia che la sigla di Superquark ti accompagni mentre ti racconto cosa è sto espressionismo tedesco così ce lo leviamo dai cosidetti.

Dunque, siamo negli anni 10 del '900, in Germania. Nell'arte pittorica e nel teatro si diffonde questa nuova corrente, questa tendenza artistica, l'Espressionismo, appunto. In un'epoca in cui a spopolare erano la voglia di realismo e di concretezza, ecco che l'Espressionismo, con la strafottenza tipica di chi sa che avrà la storia a dargli ragione, si è imposto per la sua voglia di andare in direzione diamentralmente opposta. Ah, tu vuoi l'oggettività? La fedeltà al reale? E io ti dò le emozioni, invece. Ti lancio addosso la soggettività come se fosse stella filante a Carnevale. Quella realtà per te tanto preziosa io la prendo e deformo, la tiro e la mollo come se fosse mia e voglio proprio vedere cosa fai per fermarmi. Quello che vedi non è proprio il mondo, è la mia interpretazione dello stesso. Nel cinema quindi le cose sono un po' ballerine. Le figure hanno forme esagerate, distorte, allungate.

Ad inserirsi in questo contesto casca a fagiolo la primissima trasposizione cinematografica del romanzo di Bram Stoker: Nosferatu.




Nosferatu non ha una sorte felice: uscito nel '22 viene ben presto preso a male parole dalla moglie di Stoker, alla quale non era stato proprio chiesto il permesso per fare un film dall'opera del marito. La signora Stoker ottiene che tutte le copie del film vengano distrutte, ma suna qualche intercessione di divinità unite ha fatto sì che una copia sopravvivesse.

L'ho visto per la prima volta in un cinemino spettacolare della mia città, con i ragazzi del corso di Musicologia della mia città che suonavano dal vivo, come il film era pensato in origine. Vedere lavori del genere in sala è un evento incredibile a prescindere dalla passione per il cinema quindi fatemi il favore di scollare le chiappe abbronzate dai multisala e tornate ad esplorare i cinemini.
(Per i cremonesi: se non andate al Filo puzzate di cacca.)

È inutile che ti prenda in giro, fruitore medio di cinema: io preferisco i film più vicini a me. Diciamo che ne godo di più, l'esperienza è più piacevole e rimane sul piano della passione. Quando mi avventuro in film del genere lo faccio per studiare. Mi metto lì, con i miei libri di teoria del cinema e cerco nel film le cose che leggo, e cerco di imparare. Mi aiuta a godere meglio della mia passione e mi piace sinceramente farlo, ma non è la prima cosa che cerco quando ho voglia di vedere un film.
Nonostante ciò, Nosferatu è riuscito laddove Il gabinetto del dottor Caligari con me (CON ME) aveva fallito: fa paura regà.
Il film di Murnau funziona alla grande anche dopo i suoi migliaia di anni. Il Conte Orlok è spaventoso. E non parlo dell'iconica salita delle scale che ho postato, gli basta stare sulla porta e niente, è agghiacciante. Non deve parlare, è bestiale, inumano, terrificante. L'aspetto di Max Schreck è sicuramente di grande aiuto, ma quello sguardo lì mica te lo dà la natura, lo devi fare tu, e lui lo fa in maniera straordinaria.
Murnau, poi, era fuori come un balcone. Intanto si era convinto che Schreck fosse un vampiro vero, aveva convinto tutti di questa cosa e secondo me un pochino questo timore nei suoi confronti traspare nel film (o forse sono io che ce lo voglio vedere, chissà). Poi, in un periodo in cui gli scenari dei film erano dei bellissimi pannelli colorati lui ha deciso di spostare baracca e burattini e girare in esterno, per la prima volta all'interno della corrente dell'Espressionismo. La natura diventa quindi parte integrante della pellicola, e collabora alla perfezione nel trasmettere quasi del misticismo.
Potremmo stare qui a parlare dei giochi di ombre, luci e specchi, dell'effetto Schufftan e tutto il resto, ma allo spettatore quelle cose qua spesso non interessano. Ci sono i tecnici per questo. Lo spettatore fruisce del loro lavoro, e oggi, millesettecento anni dopo, siamo ancora nelle mani di espedienti ormai abbondantemente superati. La storia e la tecnica sono andati avanti ma Nosferatu non ha perso niente.
Solo un inizio così sfolgorante avrebbe potuto rendere il Dracula cinematografico la leggenda che è oggi.

CONSIGLIO PER I NAVIGANTI
Attenti quando lo cercate online, evitate youtube (dove se ne trovano diverse versioni) per essere certi di stare guardando la versione corretta, perché la musica di Nosferatu è complice di Schreck nel incutere un'inquietudine di quelle viscidine che sembrano essere facilmente superabili ma che invece non si schiodano di dosso.


Simile capolavoro non sarebbe rimasto intoccato a lungo.
In realtà tra lui e il suo remake sono passati intorno ai 60 anni, ma cosa sono 60 anni rispetto all'immortalità dei due film in questione?
Sì, signora mia, lo so che il remake non è mai bello come l'originale, ma un giorno un tale, Werner Herzog (quindi insomma non l'ultimo degli stronzi), ha pensato bene di dirigere di nuovo la storia di Orlok ed è riuscito nel miracolo di creare un film che, portando i suoi dovutissimi omaggi all'originale, vive di vita propria e non ha proprio niente da rimproverarsi.
Da un punto di vista narrativo si sceglie di ripercorrere la stessa identica vicenda del '22, restituendo soltanto ai personaggi i propri nomi, quelli del romanzo. Inspiegabilmente spesso Mina diventa Lucy e viceversa, ma non andiamo troppo per il sottile.

Nel marasma di ottime idee che hanno portato Nosferatu, il principe della notte ad essere il bel film che è, una su tutte ha secondo me del glorioso: KLAUS KINSKI.
Non frintendetemi, almeno nei suoi primi anni al cinema Dracula ha avuto la fortuna di avere sempre dei volti ben più che dignitosi, quantomeno nelle trasposizioni più celebri, ma Klaus...un incubo.
E ricordate che parliamo di Dracula, quindi è un complimentone.
Più di tutti i suoi predecessori, Kinski ha uno sguardo assolutamente killer. Lo so, l'ho detto anche di Schreck poco sopra, ma lui era muto, aveva solo quello da sfruttare. Qua no, qua Kinski parla. Parla, è a colori, ha 60 anni di tecnologia in più da sfruttare a suo favore, ma tutto questo è NIENTE in confronto al sudore freddo che il primo sguardo di Dracula verso il taglio che Jonathan si fa ad un dito mi ha causato.
Amico mio, il fruitore di cinema medio, se sei giunto fino a qui: lo so che io parlo per iperbole e sono un po' drama queen quindi sembra sempre che esageri, ma mi devi ascoltare. Kinski è uno dei migliori Dracula che la storia ricordi e il fatto che spesso sia oscurato da altri è ingiusto e frustrante. Se anche tu pensi che sia giusto ridare luce ai talenti, lascia da parte la venticinquesima versione di Sir Christopher Lee (a cui comunque rivolgiamo una preghiera ogni sera prima di dormire) e dai una possibilità anche a lui.
Scoprirai un Dracula drammatico, umano, amaro.
Eterno.

Il Dracula in questa versione è pieno di gloria. Non mi stupisce che quindi, oggi, Nosferatu sia pronto a tornare. Non ha ancora finito con noi, e Robert Eggers lo sa.
(Qui per leggere le prime info!)

lunedì 26 dicembre 2016

Gli Invasati

09:21
Eoni fa, quando da queste parti si parlava del libro della Jackson da cui questo film è tratto, Erica del Bollalmanacco mi aveva detto di guardare il film. Se mi da un consiglio lei, io mi fido, e quindi mi sono armata del mio scarsissimo coraggio e sono tornata ad Hill House.



La trama è arcinota ma la ripeto per chi non si è ancora fatto il grande favore di leggere un libro di Shirley Jackson: Hill House è una casa maledetta (ormai nella mia mente LA casa maledetta). Forse infestata, ma di sicuro portatrice di grandi sventure e tragedie. Il dottor Markway è interessato a scoprirne una volta per tutte la vera natura e decide di partire e alloggiare nella casa per studiarne in prima persona i fenomeni. Non partirà solo, con lui ci saranno Luke, l'erede della villa, e due donne: Theo e Eleanor, la nostra protagonista.

Mi sento di dire, senza timore di essere contraddetta, che Gli invasati è un piccolo miracolo. Fa una cosa che credevo quasi impossibile: è quanto di più fedele al romanzo potessi immaginare. Non parlo della trama, che per forza di cose ha tralasciato alcune piccole parti che però trovo trascurabili, parlo di sensazioni. Se la Jackson con la sua mano fatata non aveva bisogno di un linguaggio forte e caciarone per fare una paura incredibile, qui Wise non ha bisogno di mostrare alcunchè. Qua si mostra il minimo indispensabile, non si usano facili stratagemmi per spaventare. Hill House non ti vuole far prendere uno spavento, ti vuole far morire di paura. E ce la fa.

I personaggi mi sono sembrati resi benissimo, Eleanor ha uno sguardo sbarrato e perso che ha fatto quasi più tenerezza che nel libro. Il viso dell'attrice è quasi infantile e fragilissimo, una scelta di cast perfetta per un personaggio che già nel romanzo mi aveva colpito al cuore. Theo, d'altro canto, non è da meno, e se la detestavo di là, figuriamoci qui che posso darle un volto.
La casa è, ovviamente, di uno splendore tetro, e vederla in bianco e nero è angosciante il giusto. Ovvero tantissimo. 
Il fatto che fantasmi e case infestate siano i miei preferiti da sempre forse influisce sul mio entusiasmo, sono disposta a riconoscerlo, ma vi dico questo: che leggiate il romanzo o guardiate il film poco importa, provate ad uscire indenni dalla scena della mano e poi tornate a dirmi che non vi ha fatto paura.
Buona fortuna.

mercoledì 31 agosto 2016

Hellraiser

14:31
Leggo libri con la stessa velocità con cui riesco a mangiare un etto e mezzo di patatine alla paprika (e ci riesco molto molto velocemente), eppure Barker è sempre stato fuori dai miei programmi. È nelle mie cartelle sul pc (io leggo in digitale), ma il nostro incontro non è ancora avvenuto. La visione di Hellraiser è stata quindi improvvisata e priva di preparazione.

La smaniosa ricerca del piacere porta Frank a giocare con un simpatico attrezzo (che a me ha ricordato il marchingegno di Cronos), e, sempre se abbiamo visto Cronos, sappiamo che giocare con i simpatici attrezzi ha delle conseguenze che raramente sono positive. Finisce sempre di smettere di essere umani e poi c'è bisogno di aiuto della gente per tornare in forze, e nessuno è contento.


A costo di ripetermi, devo parlare del fatto che scrivere di film così famosi diventa complicato, perché il web pullula di recensioni e opinioni e post sul tema, ma vi stupirò con mirabolanti effetti speciali dicendovi che a me non è che Hellraiser sia proprio piaciutissimo.
Spiegamoci.

Per spiegarci servono SPOILER.
Il film si apre con Frank che fa una cosa stupida (giocare col simpatico attrezzo), e prosegue con famigliola che trasloca, dove con famigliola intendo marito e moglie, dove con moglie intendo stronza maledetta.
(Sono molto bigotta verso il tema corna, stateci)
Non abbiamo grande tempo per empatizzare con la coppia, perché li conosciamo da una manciata di minuti e già vediamo che la moglie si fa il cognato. Brava, Julia, brava. Lo conosce, finiscono a letto, nessuno che valuta l'ipotesi si interrompere il matrimonio per vivere la relazione alla luce del sole, no, due conigli. Frank si rivela da subito un detestabile arrogante, incapace di pensare ad altro che a se stesso. Il suo ritorno, che avviene indirettamente grazie al fratello (oltre il danno la beffa), non può essere completo fino a che il suo corpo non tornerà ad avere sembianze umane, e questo può avvenire soltanto con dei contributi di sangue. Chi lo potrà mai aiutare? Chi, se non quel pagliaccio di Julia?
Sia chiaro, lungi da me mettere in discussione le relazioni altrui, so bene quanto un amore malato ti vincoli a sè facendoti fare quello che più gli aggrada.
Ma noi, di questo amore, cosa abbiamo visto? Uno sguardo di troppo, un paio di scene di sesso, poi di colpo Frank è diventato uno scheletro sanguinante e lei, senza fare la minima piega (sia mai che interviene un minimo di morale), raccatta uomini al bar e si trasforma in omicida. Da un horror non sempre mi aspetto grandissimo approfondimento psicologico, e non me lo aspettavo qui, ma mi è parso tutto molto rapido e forse anche un po' approssimativo.
Per finire, non ho amato nemmeno il finale. Se tu, Cenobita, mi dici che una volta avuto Frank io sarei stata libera, allora mi lasci libera per piacere. Altrimenti c'è qualcosa che non quaglia.


Del resto, tutto quello che non è stato speso in psicanalisi delle situazioni e dei personaggi è stato senza dubbio investito in sangue e make up e gore. Pochi soldi ma di sicuro ben spesi, per me è stato un buon lavoro. E sì, ammetterò anche che i Cenobiti, con tutti quei colori freddi intorno ai loro testoni, hanno esercitato su di me un discreto fascino. Niente a che vedere con l'angoscia che mi causa Michael Myers, ormai lo sapete, e di sicuro non hanno nemmeno un quarto della simpatia di Freddy, ma si difendono bene. Forse nella mia personalissima scala vengono prima anche di quel Jason a cui per ora non voglio benissimo. (Jason, non Pamela, ché a lei sono affezionata!)

Guardatelo, per carità, ché la cultura ci vuole e perché penso di essere una delle tre persone al mondo a cui non ha convinto del tutto, però poi non venite qua, carichi delle vostre aspettative deluse sottobraccio a dirmi che non ve l'avevo detto.
Poi qualche giorno leggo il racconto e torno qua ad aggiornarvi.

mercoledì 25 maggio 2016

#CiaoNetflix: Into the wild

19:12
Solita intro infarcita di fattacci miei, perdonatemela.
Un mesetto fa sono stata a Praga. Era il mio Sogno da Visitare Numero 2, la aspettavo da tempo, e prevedibilmente quando sono tornata non sono stata la stessa per un po'.
Mi è presa una frenesia senza precedenti, una voglia di mollare tutto e andare, perché se tutto il mondo è così bello io non posso stare qui sul divano a sentirlo respirare a distanza. L'amore per i viaggi l'ho sempre avuto (ostacolato da un'insormontabile paura di volare), ma da un mese a questa parte lo sento incontenibile.
Mi sembrava un buon momento per guardare Into the wild.

Sbagliato, non è mai un buon momento per Into the wild, perché Into the wild è un film del cavolo che mi ha fatto perdere più di due ore in cui avrei potuto dormire, per raccontarmi di un povero deficiente. Prima di offendervi perché sto per insultare il vostro personaggio del cuore suppersuppercult, per favore, finite di leggere e poi proseguite con il defollow.
Mi calmo e andiamo con ordine.

Ho deciso insindacabilmente che Christopher fosse un deficiente al minuto 55.
(Chiarimento per evitare discussioni: parlo del protagonista del film. Non ho sufficiente conoscenza della VERA storia del VERO Christopher per poterne parlare.)
Chris, il grande sognatore pieno di ideali, vede un kayak e decide che adesso vuole andare col kayak, lui che fino a una settimanina prima aveva paura dell'acqua. Va a chiedere informazioni, gli dicono in soldoni che non può navigare sul fiume e lui chiaramente piglia il due e lo fa a fare.
Il grande ribelle si lancia nel fiume nonostante il funzionario (che è OVVIAMENTE un fannullone che sul lavoro telefona per i cazzi suoi, non sono tutti così? brutti cattivi corrotti fannulloni capitalisti) gli abbia detto di no. Stato malvagio che blocchi la libertà individuale e non ci fai andare sui fiumi. Stronzo. E io allora ci vado lo stesso.
Capito la ribellione? Capito lo spirito libero? Capito come ci si gode la vita vera?


Oh, Christopher. Siediti, parliamo un po'.
Io un po' ti capisco. Ogni tanto ho sentito, e sento ancora, il bisogno di scappare via. Di non dover aver a che fare con nessuno, di prendere un paio di libri e di rifugiarmi in una spiaggia, da sola, con solo il mare a farmi compagnia. Ogni tanto lo sento il peso di questa vita che ci viene imposta, di questi modelli tradizionali a cui dobbiamo guardare per prenderne ispirazione: scuola, poi lavoro, il posto fisso, e poi trovare la persona giusta, prima sposarsi, poi vivere insieme, poi fare almeno due bambini e vivere felici fino alla vecchiaia.
Ma sai, cosa, Chris? Mica lo sento solo io.
Ce li hanno tutti, questi desideri di fuga, ogni tanto. E magari qualcuno (non io, almeno per ora) lo fa pure, per un po'. Erasmus, anni sabbatici, ferie prolungate, viaggi avventurosi...
Qualcuno, quindi, guardando il film sulla tua gloriosa avventura in giro per l'America, potrebbe pensare a che eroe tu sia, a quale coraggio tu abbia avuto, a quale vita straordinaria tu abbia vissuto, scuoiando alci e rubando passaggi.
A me, invece, sei stato in culo. Avevi una vita che non piaceva, come ce l'hanno chissà quanti altri poveri cristi al mondo e hai deciso che la cosa migliore da fare fosse mollare tutto ed andare. Comodo, eh, gigione?
Ma sono le persone come te a far sì che quel sistema lì, quello che tu odi così profondamente, non cambi mai. Se ti fa così schifo il mondo in cui vivi, se ti annienta il pensiero di quella mediocre borghesia a cui la tua famiglia ti ha costretto, sai cosa potevi fare? Potevi cambiare strada. Se i tuoi genitori non ti hanno cresciuto nel modo in cui avresti voluto, sai quale sarebbe stato il riscatto più grande? Diventare il genitore che loro non sono stati per te.
Se la società non ti piace agisci nel tuo piccolo per cambiarla. Io odio l'evasione fiscale, mi fa salire i cinque minuti, e quindi nel bar in cui lavoro batto gli scontrini per ogni singolo caffè. Non ne salto uno. E se nei locali non me lo fanno, lo chiedo. Non sono mica un eroe, faccio la mia piccola normalissima parte. Perché la società siamo noi cittadini, e, perdonami la banalità che sto per dire, se facessimo tutti come te? Se mollassimo il mondo civile per il sogno della libertà assoluta che hai inseguito tu, chi resterebbe a mettere la benzina nelle auto a cui tu per primo hai chiesto l'autostop? Chi guiderebbe quel treno che tu stesso hai usato per farti dare un passaggio clandestino?
E allora, mio amato idiota, lo vedi che la civiltà ti serve? Perché a tutti, me per prima, ogni tanto piacerebbe dichiararsi totalmente indipendenti da quei meccanismi che tanto a volte ci fanno infuriare. Ma non lo siamo. Le persone stanno intorno a noi per un motivo, chissà se te lo sei ricordato mentre correvi con i cavalli e per questo ti sentivi tanto tanto cool. Non sei un cavallo, Chris, non credo sia necessario che te lo ricordi io gioia santa. E alla sera, quando ti chiuderai nel tuo furgone da solo, dopo una splendida giornata a spellare alci e sparare agli scoiattoli, non avrai nessuno con cui condividerla, questa libertà. Non vorrai un cavallo accanto a te, vorrai una persona. E non parlo necessariamente di un amore. Sarai lì, in una tenda, senza un volto amico, senza l'abbraccio di tua sorella, senza il sorriso di tua madre, perché la TUA libertà era più importante di tutto il resto.
Perché chissà se ti è mai passato per la testa, maledetto egoriferito, che a casa qualcuno soffriva per te. Chissà se dietro ai quei profondissimi ed intensissimi monologhi che Penn ha fatto dire a tua sorella, o a te, usati come sottofondo per quelle bellissime immagini che avete usato, c'è anche della sostanza, dietro alle belle parole. Chissà quanto hai sofferto TU, quando, alla fine, hai realizzato quella banalissima verità sulla felicità condivisa. Quanto ho detestato la tua presa di coscienza finale. Pensa, vogliamo tutti qualcuno accanto quando stiamo male. E quando sono gli altri, a soffrire?


Pensavo che ti avrei preso a schiaffoni, Christopher, ma forse quelle lacrime versate sul finale sono state una punizione sufficiente.

martedì 10 maggio 2016

Intervista col Vampiro

20:20
Ho incrociato il libro della Rice nella biblioteca del mio paese, anni fa. Ero nel pieno della mia traumatica fase post - Friedkin, e siccome all'inizio del romanzo si parla di un personaggio posseduto dal demonio, il buon Intervista col Vampiro, dopo essere stato accuratamente cosparso di acqua di Lourdes direttamente dalla testa di quelle inquietanti madonnine di plastica, è tornato nel posto in cui meritava di stare: ad impolverare sugli scaffali.
Lo riprendo oggi, a trauma QUASI superato, perché in questi giorni si parla tanto di un suo remake con Jared Leto. (A me Leto è sempre piaciuto, ma non si starà trasformando in una macchietta johnnydeppiana? Mi esprimo dopo Suicide Squad)

Daniel è un giornalista che si trova nella situazione di dover intervistare un vampiro, Louis, il quale nel corso della chiacchierata gli racconta tutta la sua lunga esistenza, dalla sua creazione da parte del vampiro Lestat all'incontro con la piccola Claudia.


Quante volte sarà già stata fatta secondo voi la battuta sulla crescita di Claudia all'interno di una famiglia gay? Che dite, mi trattengo? La tentazione è forte.
Di certo la regazzina è venuta su in un ambiente completamente maschile, e la sola conseguenza negativa che ha subito nulla ha a che vedere con l'assenza di una donna. Di certo amore ne ha avuto. Tanto, tantissimo, da spalancare il cuore, da quel Louis che ha vissuto (e sta vivendo) un'esistenza colma di senso di colpa per avere causato alla piccola quella trasformazione che lui stesso aveva tanto detestato. Bellissimo, eh, il rapporto tra i due, per quanto sia difficile vedere le sembianze di una bambina chiamare 'Amore' un adulto Brad Pitt, ma che nooooia Louis. Buono, buonissimo, pieno di buoni valori e incapace di crudeltà, ricorda la noooooia di quel Ned Buoncuore Stark che sappiamo tutti bene che fine ha fatto.
Molto più interessanti i Lannister, allora, così come è molto più interessante Lestat, con quella sua risata incredibile e quella splendida sfrontatezza. Le lagne etiche ci stanno per cinque minuti, poi davvero non se ne può più, vai piuttosto avanti a mangiare i cagnolini delle ricche megere ma smetti di rompere l'anima a noi, ché la scelta ti era stata data e tu non hai voluto morire.


Insomma, io stasera sono poco seria perché non scrivo da un po' e devo tornare a mio agio, ma Intervista col vampiro è un film pieno di fascino. Aiutato sicuramente dall'oggettiva bellezza dei signori coinvolti (Cruise non è per niente il mio tipo, ma se considerate che a me piace da morire Bardem forse il problema sono io), ci conduce in un mondo in cui il tormento regna sovrano, sia esso per il senso di colpa di cui parlavamo prima, sia per l'insaziabilità dei vampiri, sia per l'attrazione non corrisposta, sia per l'amore ossessivo che lo lega a Claudia. 
Certo, se quelli che piacciono a voi sono i vampiri brutti e cattivi, violenti e caciaroni, Intervista col vampiro lasciatelo proprio perdere. Se invece, come a me, vi piacciono gli uomini più composti ed eleganti, che portano giacca e cravatta con la dimestichezza con cui io porto i pantaloni con su Ganesh comprati a 5€ sul mercato, allora siete nel film giusto.
Un gusto incredibile per il romanticamente bello, tre (facciamo due, dai) personaggi indimenticabili, una lentezza di quella dolce che ti culla un po', e tanto è bastato a rendere questo pomeriggio di angosce un po' meno tremendo.

mercoledì 28 ottobre 2015

Non solo horror: Amabili resti

09:46
Netflix è arrivato, sia lodato Netflix!
Per essere fuori da manco una settimana il catalogo è piuttosto interessante, ci sono dei documentari che mi cuorano gli occhi al sol pensiero.
Documentari, capito? Sto invecchiando, per forza.

Tra i vari film proposti mi sbuca lui, Amabili resti, a cui facevo la corte da un po', precisamente da quando ho conosciuto la malefica Saoirse Ronan in Espiazione, che tu piccolo mostro possa essere eternamente maledetto.

In AR la mia nemicissima Ronan (scherzo, è brava brava brava) interpreta Susie, una ragazzina violentata e uccisa da un vicino di casa. Dopo la morte non troverà la pace, ma rimarrà bloccata in un limbo da cui sorveglia i famigliari, Quello che vuole è essere vendicata.


Partiamo dalla solita premessa personale di cui può anche non fregarvene niente ma che serve a me.
Sabato pomeriggio è morta una ragazzina del mio paese, una ragazzina dell'età di mio fratello. Qua da noi li chiamiamo 'coscritti'. Non la conoscevo personalmente più di tanto (per quanto ci si possa non conoscere in un paesino di 3000 anime), ma da lontano l'ho vista crescere. Ho sempre accompagnato io mio fratello (che, se non ve l'ho mai detto, si chiama Kevin) nel suo percorso scolastico (e non), per cui ho avuto modo di vederla a 3 anni, mentre faceva l'asilo, entrare alle elementari, e poi alle medie, e poi quest estate, in procinto di diventare una ragazza splendida. E l'ho vista mancare, sabato scorso. Kevin ha dovuto per la prima volta scendere a patti col fatto che si può morire a 16 anni, che gli incidenti e le notizie del tg non sono cose lontane, che accadono a chiunque, in un  modo completamente inaspettato, come se la sorte pescasse da una grande boccia. E ha dovuto scenderci a patti in un momento di grande fragilità, mentre è ricoverato in ospedale.
E per la prima volta la morte di una persona che non mi era amica mi ha colpito così duramente, Perché aveva l'età di Kevin, ha fatto ogni scuola con Kevin fino alla terza media, e mentre ora lui è in ospedale (ma sta bene, nessun allarmismo) a rognare perché vuole tornare a casa, a lei questa scelta non è stata data. Ed è devastante. Inimmaginabile.

Scegliere di vedere Amabili resti proprio in questo momento è stata forse una scelta un po' azzardata, perché ho il cuore e la mente offuscati e confusi, ho avuto momenti di grande intensità in cui mi chiedevo quale potesse essere il senso di amare qualcuno così tanto quando può esserti tolto in qualsiasi momento, trascinando la tua vita in un becero e miserabile continuare senza scopo. Poi mi sono ricordata che alla regia ci stava Peter Jackson, che considero una persona molto intelligente. Sapevo non avrebbe fatto del marcio giornalettismo con immagini strazianti di mammà e papino in lacrime, non avrebbe ostentato il dolore. Non mi ha deluso, è sempre molto elegante.
Certo, la sofferenza è molto presente, ma non ne siamo mai sopraffatti fino al disgusto, qua non parliamo mica di Barbara D'Urso. Non avrei potuto sopportarlo.


Con queste premesse, penserete che il film mi abbia emozionato molto.
Ecco, no.
Avrei tanto voluto che lo facesse, in questi giorni ho bisogno di uno di quei pianti liberatori che ti alleggeriscono lo stomaco, invece niente. Pur riconoscendo alcune scene come bellissimi momenti di cinema, il mio cuore è rimasto freddino (il che mi lascia perplessa, sapete quanto l'argomento stupro sia importante per me). E per quanto abbia trovato interessante la parte del caso da risolvere, forse la parte più thriller, ho avuto il latte alle ginocchia per tutta la parte dell'aldilà. Premettendo che non credo nella vita dopo la morte e nemmeno in paradiso/inferno e tutte quelle cose cattoliche lì, il vero punto è: avevamo davvero bisogno di questo bagno termale nella computer grafica, Peter? Io credo di no. In quanto figlia degli anni 90, la tecnologia non mi spaventa, non odio la CGI a prescindere come presa di posizione hipster, ma ragazzo mio, perché? Perché così, perché anche in momenti in cui non era affatto necessaria? Hai dato un valore aggiunto alla pellicola?
È proprio così che ti immagini l'aldilà, Peter? È così che lo sogni?
Riconosco che, in un momento in cui la mia mente è così pervasa da pensieri riguardanti la morte, la morte dei giovanissimi, Amabili resti si è insinuato su un terreno fragilino, aiutando queste mie riflessioni a crescere, anche se temo che non arriveremo mai ad una risoluzione.

Non si scende a patti con la morte. Non la si capisce, non la si accetta.
Specialmente quando avviene così.
In una stracavolo di scena piena di computer grafica che mi pareva di stare a guardare un benedetto Polar Express!


(Spoiler: non parlo della morte di Susie)

lunedì 20 luglio 2015

Tratto da un racconto di Stephen King: A volte ritornano

18:21
Nel 1978 esce la prima raccolta di racconti del Nostro. Si chiama Night Shift, distribuito in Italia come A volte ritornano. 
Venti racconti uno più bello dell'altro (continuo a credere che lui dia il meglio di sè nelle narrazioni brevi, per quel poco che ne posso sapere io), da cui, ovviamente sono stati tratti svariati film, alcuni più famosi di altri.
Fil rouge: mi han fatto tutti schifo. O quasi.


Grano rosso sangue, 1984, Fritz Kiersch 


I pugni sono roba facile. Un po' troppo visti.
Gli schiaffoni, invece, quelli proprio a mano aperta in pieno viso, sono più umilianti. Sono 'ho fatto il cattivo e il papà mi dà una bella sberla'.
Per questo, quando alla fine di Grano rosso sangue il protagonista Burt prende a pizze in faccia il giovane Malachia a due a due fino a che diventano dispari, io ho goduto profondamente.
Malachia è un giovane che vive nella cittadina di Gatlin. Cittadina strana, quella, ci vivono solo ragazzini. Burt e Vicki, una coppia in viaggio, si ritrovano lì perché hanno investito un bambino e vogliono andare a denunciare l'incidente alla polizia. Ma niente adulti, niente polizia.
Sapete quanti Grano rosso sangue ci sono? Qualcosa come SETTE. Sei sequel per un film che ok ha fatto buoni incassi (che poi in questi casi è tutto ciò che conta) ma che risulta essere un mediocrissimo lavoretto con molto poco da dire. 
Non mi basta che mettiate un cappello nero in testa ad un ragazzino dal viso angelico per rendermelo inquietante, vi dirò.
Perché nel racconto si arriva nella cittadina con calma, in un clima che parte già teso per la coppia in procinto di divorziare, con approfondite descrizioni dei campi di grano che paiono essere l'unica cosa presente, si sente leggendo il vento che li muove.
Sapete cosa fa rabbia? Che il film inizia bene. In un ridente paesello di campagna del Nebraska tutti i cittadini sono bravi cristiani che dopo la funzione domenicale si fermano alla tavola calda a fare una bella colazione tutti insieme. Inizia a questo punto una mattanza messa su dai bambini del villaggio, fatta di caffè avvelenato, coltelli e botte. 
Ecco, un efficace inizio che si rivela la sola cosa funzionale del film. Mi rendo conto che per chi lo abbia visto magari nell'infanzia possa stare comodo negli abiti di culto, ma io l'ho visto a 24 anni, capitemi.

The Mangler, 1995, Tobe Hooper


'Hai provato a pensare che la macchina sia maledetta?'
'Sì, come no.'
'No, non maledetta, posseduta!'
Ah, scusa, adesso sì che mi torna.
Non è che voglia fare la saputella, perdonatemi, ma mangler vuol dire stiratrice. Ora, se mi fai un film su una stiratrice maledetta, lo devi fare in un certo modo, perché è piuttosto evidente che non ci troviamo di fronte a materiale di sua natura particolarmente inquietante.
Detto ciò, quello che penso io è che con certe premesse si poteva tirare fuori una comedy horror indimenticabile. Perché è una STIRATRICE, capito?
Una di quelle idee che solo quel beotone di Stephen King poteva tirare fuori, perché secondo me quello lì nel cervello non ha convenzionale materia grigia ma chiaramente altro. Il fatto che fosse uso alle sostanze illecite e all'alcool può anche avere dato una sua buona mano.
Questa, di stiratrice, sta in una ditta, la Blue Ribbon Laundry, in cui i dipendenti (e quelli che stanno loro intorno) iniziano a cadere come i dieci piccoli indiani di Christiana memoria. Indagano un poliziotto e un suo amico, quello che lo voleva convincere che la suddetta macchina fosse maledetta. No, non maledetta, posseduta.
Che poi io lo capisco anche, eh, Tobe Hooper. Se uno dei tuoi primi film ti esce storico, un culto, una perla, un amatissimo filmone che nessuno mai dimenticherà, poi sei costretto a essere sempre all'altezza. Allora ci riprovi, ti viene Poltergeist, pensi di essere a posto per la vita.
E invece no, la gente vuole altro, altri film tuoi, quando tu magari vorresti essere a Mauritius a farti spalmare di spf 50 per evitare le rughe.
Poi si lamentano se ti vengono come The Mangler. 
Io lo so che ci hai provato, bello mio, che hai detto 'spetta che mettiamo Robert Englund così tutti guardano lui e nessuno nota che in fondo sono un registino così buttato lì e basta.'
Invece no, l'abbiamo notato.
Mi spiace.

L'occhio del gatto, 1985, Lewis Teague


Se mi date un film horror a episodi il cui filo conduttore è un gatto secondo i miei professionali e competenti canoni di giudizio già dirò che si tratta di un'opera straordinaria.
Poco importa se farà schifo.
La bella notizia in questo caso è che il film non è brutto.
Gli episodi sono 3, dei quali solo i primi due sono tratti da due racconti di A volte ritornano.
Nel primo, Quitters Inc., vediamo un uomo rivolgersi alla ditta che dà il nome al titolo per farsi aiutare a smettere di fumare. I metodi da loro utilizzati si riveleranno, come dire, poco ortodossi.
Il secondo ('Il cornicione') invece ci mostra come una specie di grasso mafioso scommettitore usi il suo vizio delle scommesse anche contro l'amante della moglie. Un episodio abitato da una manica di deficienti che però mi ha intrattenuto piacevolmente, riuscendo anche a farmi provare del sano disgusto nei confronti del nostro benestante 'benefattore'.
Nel terzo, chiamato 'Il Generale', infine, ritorna il nostro beneamato felino, questa volta in veste eroica, in quanto pronto a salvare una giovane e deliziosa bimbetta dalle grinfie di un troll (che, in modo del tutto inaspettato, non si trova nei sotterranei. cit).
Quale sia finito in testa alla classifica lo capite bene da voi.
(No, in realtà ho apprezzato molto il primo corto ma poiché il mio amico felino viene torturato non ho il coraggio di ammetterlo a voce alta.)

Brivido, 1986, Stephen King


Io ti prego Stephen di posare quella macchina da presa e di venire qua a sederti vicino a me. Calmati, questo incubo è finito. Basta, basta.
Film mai più.
Solo solo solo libri.


lunedì 13 luglio 2015

Tratto da un racconto di Stephen King - I mainstream (parte I)

13:58
C'è una specie di legge non scritta che aleggia nell'aria che dice che l'omino bizzarro del Maine può piacervi oppure no, ma uno di questi film lo avete necessariamente visto. Che vi piaccia l'horror o meno.
(Anche perché definire il signor King solo un autore di genere è altamente ingiusto e irrispettoso.)

It, 1990, Tommy Lee Wallace


Vediamo se indovino cosa è successo nelle vostre vite?
Grossomodo intorno agli 8-10 anni avete visto It. Tutti. E tutti giù a ridere, MA NON FA PAURA! Ahahah, tutti i bambini dell'universo che guardano It e dicono che non hanno avuto paura.
Conseguenza, a 30 anni tutti che hanno paura dei pagliacci.
Ah, ma It non faceva paura.
Effettivamente, rivisto oggi, magari con qualche annetto in più sul groppone, paura non la fa.
Ma, francamente, chissenefrega.
Sarà un prodottino mediocre (e va bene, va bene, lo è), sarà una mezza pippetta nei confronti del romanzone da cui è tratto (e lo è, di nuovo), ma è IT! E' l'infanzia, le guerre tra bande rivali, una riunione di sfigatelli ante Glee Club, è divertente. Ad un occhio oggettivo, cosa che il mio non è, potrebbe anche fare piuttosto pena rivisto adesso, va riconosciuto. E' anche lungo come la Quaresima per cui se non gli volete bene evitate di buttarvici perché potreste vederlo come tempo perso.
Ma è IT, quello lì è il mio amatissimo e straordinario Tim Curry, il resto non ha importanza. 192 minuti da re assoluto della scena, anche quando non era presente.
Rimane e rimarrà sempre un cult assoluto, nonostante i milioni di difetti tra cui non ultimo il fatto che il sopracitato Pennywise sia l'unico in grado di recitare. Occupa un posto nel cuore che è ben preciso e tutto suo. Il solo fatto che si stia pensando e lavorando ad un remake mi spezza il cuore. Lo so che con ogni probabilità ne uscirà un lavoro migliore, ma dall'alto della mia maturità mi ci oppongo a prescindere.
Tanto Tim Curry non lo supera nessuno, STACCE.

The mist, 2007, Frank Marabont


Scheletri è la mia raccolta preferita di racconti di King. Forse anche il suo libro che amo di più (forse, perché come cavolo si fa a scegliere?).
La nebbia è, appunto, uno dei racconti da Scheletri.
Si parla di un tot di persone che restano chiuse in un supermercato perché lì fuori si è sviluppata una densa e fittissima nebbia che pare essere popolata da creature niente affatto amichevoli.
Ascoltate una cretina e fate come vi dico: se non avete visto The mist vedetelo adesso. Anche se avete letto il racconto, e pensate che il film non possa darvi niente di più, regalatevi la visione di questo film davvero molto bello, perchè il suo finale (se non ve l'hanno spoilerato in precedenza, in quel caso non vale) vi lascerà in pezzi.
Un monster movie interessante, che riesce ad esserlo anche per me che non sono troppo fan del sottogenere. Forse perché i monster che stanno fuori hanno quasi il ruolo del pretesto in confronto ai monster che stanno dentro. Ma togliamo pure il quasi. Umanità in pericolo, per cui la sopravvivenza viene prima di qualsiasi altra cosa. Molto, molto comprensibile, ma tremendo. Alcuni dei momenti più angoscianti della pellicola sono proprio dati dagli atteggiamenti delle persone. Tenete sotto controllo la signora Carmody, segnatevi il nome.
Tremendo, dicevamo. Ma rimane comunque niente in confronto al finalone. Finalone che, come una ciliegina su quella torta avvelenata dal terrore che ci pervade, ci conduce verso una totale e disarmante disperazione.
Un film incredibile.

Misery non deve morire, 1990, Rob Reiner


Anno Domini 2013.
Viene diffusa la notizia che tale Kathy Bates farà parte del cast della nota serie tv American Horror Story.
Il popolo accoglie la notizia con feste in piazza, manifestazioni di giubilo, parate con carri festosi e lancio di coriandoli colorati agli angoli delle strade.
O almeno, nella mia mente è andata proprio così.
Perché Kathy è, e sarà sempre, quella folle sconsiderata di Annie.
Annie che ancora oggi mi fa una paura pazzesca.
Passo indietro per quelle due anime che non sanno chi Annie sia.
Annie (poi il suo nome non lo scriviamo più) è un'infermiera che salva da un incidente stradale il famoso scrittore Paul Sheldon. Mentre gli presta assistenza, scopre che quel folle vuole far morire, nel suo ultimo romanzo, Misery, che altri non è che l'eroina del cuore di Annie. Lei non prende la notizia proprio bene, per cui prova a fargli cambiare idea.
Se non avete visto Misery siete proprio sul blog sbagliato.
Se già il romanzo è una specie di miscela tossica di tensione e scene molto interessanti anche belle toste, il film è quasi (quasi) su un livello superiore. Reiner ha scelto di eliminare quasi (QUASI) completamente la violenza fisica e visibile ed ha fatto un gran bene, perché è talmente efficace lo sguardo della meravigliosa Bates che non serviva altro. Potrei quasi dire che il film si reggerebbe in piedi anche se fosse orribile e avesse come carta vincente solo quegli occhi.
Perchè la follia spaventa. Perché quando una persona fa un gesto sbagliato, ci si appella alla logica. Si spiega cosa sarebbe stato giusto fare. Ma la logica va del tutto in panne quando siamo di fronte ad uno squilibrio. E lei è talmente brava, talmente verosimile, talmente intensa, che lascia spiazzati. Non puoi spiegarle che non si tengono ostaggio gli scrittori, è ovvio per noi che Misery è solo un personaggio fittizio. E' logico. Non per lei.
Il suo passare dall'affabilità (quello lì è il suo scrittore preferito! E sta male! Si prenderà cura di lui.) al tono minaccioso quasi a passo di danza è da applausi.
Come lo è tutto il film.

(No, i film più famosi non sono tutti qui. Stay tuned!)

mercoledì 8 luglio 2015

Tratto da un racconto di Stephen King - Intro

11:10
Con ogni probabilità nemmeno ve ne siete accorti, ma sono stata lontana da questo luogo di delizia per giorni, mio malgrado.
Mi ha disturbato molto, ma con calma sto recuperando tutti i post che avete scritto in questo lasso di tempo.
La cosa '''positiva''' è che ho avuto molto tempo per leggere. Il risultato è questa nuova serie di post.
Mettiamoci comodi, che sarà lunga.


Stephen King ha sembianze umane, ma è chiaro a tutti da anni che si tratta in realtà di una creatura aliena giunta sulla Terra per mostrare a tutti noi che in un modo o nell'altro scriviamo che in realtà siamo solo delle caccolette al suo cospetto.
Diecimila miliardi di parole in neanche 70 anni, età terrestre.
Una specie di Hellboy della letteratura.
Con tutto sto materiale a disposizione, hai voglia a trarne dei film.
E infatti.

Su MRR abbiamo già parlato di alcuni film che portano le sue parole su schermo: Mercy, quella merda fotonica, Pet Sematary, lo splendore di Carrie di Brian De Palma e infine la totalizzante e spiazzante perfezione del mio amatissimo e preferitissimo Shining. Questi quindi li diamo per assodati, li nomineremo solo velocemente.
Ce ne sono, però, TANTISSIMI altri.
Talmente altri che ne avremmo per un semestre, ma siccome i film da vedere al mondo sono troppi, facciamo che ce ne occupiamo solo per un mesetto.

Se volessi trattare OGNI SINGOLA COSA che porta la dicitura che dà il titolo a questa serie di post, avrei sufficiente materiale da tenerci un blog a parte.
Ho cercato quindi di selezionare solo alcuni titoli, e solo film.
Perché se mi mettessi a vedere anche tutte le serie tv dovrei licenziarmi dal lavoro e non fare altro.
E poi Under the dome non lo voglio guardare, gne gne gne.


mercoledì 11 marzo 2015

Mercy

11:16
(2014, Peter Cornwell)

Ve lo ricordate questo post?
In cui vi dicevo che sarebbe uscito un film tratto dal mio racconto preferito di Sephen King intitolato Gramma?
(info tecniche: sta nella raccolta Scheletri e in Italia lo chiamiamo La nonna, chiaramente)
Ecco, e' uscito.
Ed era meglio che se ne stesse dove stava, in mezzo alla collezione di dvd del regista, in modo che tutti ci dimenticassimo della sua esistenza e archiviassimo questa brutta brutta esperienza negli angoli piu' nascosti e bui della nostra memoria.

Mercy e' una nonna, con figli e nipoti adorati. Si sente male durante una cena e da quel momento la sua salute sara' irrimediabilmente compromessa, tanto da portare figlia e nipoti a trasferirsi da lei per prendersene cura.

Non credo ci saranno troppi paragoni con il racconto, in questo post. Quello era uno dei piu' belli del Re, sicuramente uno dei piu' agghiaccianti, decisamente il mio preferito. Questo film e' una MERDA, pertanto i paragoni finiranno qui.


Sono francamente incazzata.
Qualcuno di voi si ricordera' che ho lavorato in una casa di riposo per un anno. Ho fatto il Servizio Civile Nazionale. Non mi posso certo dire un'esperta nazionale in geriatria, ma qualche cosa l'ho vista, qualche cosa l'ho imparata.

Ora, io mi rendo conto di ogni cosa, davvero. E' un film, non e' la realta', usate tutte le argomentazioni che volete.
Ma non e' concepibile, in nessun modo, che una donna stia male, molto, torni a casa in uno stato irriconoscibile e nessuno NESSUNO della sua famiglia mostri un accenno di sofferenza. Capisco il figlio che crede nei poteri malefici della madre, capisco il nipote lontano che non e' molto legato, capisco tutto il cavolo che volete, ma quella e' tua MADRE, o tua nonna, e nessuno versa una lacrima.  Tranne il nostro protagonista George, ovviamente, lui la nonna la amava molto.
Lo so, lo so che a volte nel mondo reale succede. Sempre per il fatto che ho lavorato in mezzo agli anziani.
Ma nel mondo reale la protagonista della storia non passa tutto il film a lodare le qualita' della madre forte che ha cresciuto da sola tre gemelli per poi vederla in determinate condizioni e prenderla con una leggerezza che avrei preso a schiaffoni.
Gia' questo dovrebbe dirci quale grande esplorazione emotiva, caratteriale o psicologica ci stia dietro a questo imponente lavoro.
E la grandissima e poraccissima fiera della banalita' per cui la casa di riposo e' un luogo inquietantissimo, e gli occhi degli anziani fanno tanta paura ai regazzini, e poi l'anziano matto che prende la mano del giovine e allora ARGH mamma ho paura?
Ma dai, ma fatemi il favore.

Potrei passarci sopra, volendo. Se solo capissi da che parte stiamo andando a parare, perche' non mi e' chiaro.
Mi vuoi ammaliare con il mistero del passato e dei poteri della nonna?
Bene, fallo.
Non lo fai pero' limitando la questione ad un'inquietantissima ('na roba del genere) conversazione tra zio alcolista e nipote legatissimo alla nonna. Vai piu' a fondo, porca miseria, ammaliami, incantami, inquietami.
Un cavolo di niente, OREZ.
Allora cosa facciamo, la mettiamo sul comico?
Facciamo una buffa scena in cui i due fratelli cercano di aprire il libro malefico con i caschetti in testa nascosti dietro al fieno?
Non mi basta.


Quindi, cosa vuoi da me, Cornwell?
Perché se volevi spaventarmi a morte facendo uscire dalla bocca della donna versi incomprensibili in lingua satanica diciamo che farla barrire come un elefante non e' stata una gran mossa. Lo sappiamo tutti che ai simil-posseduti sono molto sensibile, non e' possibile non riuscire a far paura nemmeno a me, non e' possibile.
E il libro? Buttato li' come un fondamentale elemento della vicenda e poi dimenticato? E quella specie di Gramo?

Quando leggevo il racconto, di sera, a volte mi fermavo e mi chiedevo se era il caso di proseguire perché avrei preferito evitare di non dormire dato che la mattina c'era scuola. Potente come pochi. Quando guardavo il film, a volte mi fermavo e mi chiedevo se era il caso di proseguire perche' mi stava facendo schifo.

E poi, davvero.
Dylan McDermott?



domenica 15 dicembre 2013

Non solo horror: Lo Hobbit, La desolazione di Smaug

12:50
(2013, Peter Jackson)


Guardate l'anteprima del video. Quello lì non è sputato ad Orlando Bloom?
Invece no, è Luke Evans.
Alias Bard, quello che se avete letto il libro sapete poi cosa fa, non un personaggino da nulla, ecco.
Ma almeno potevano sceglierlo che non sembrasse Legolas dopo il parrucchiere, tutto qui.

Bilbo, i nani e Gandalf sono ancora in viaggio per la riconquista della Montagna Solitaria, e nel mentre gli succedono un sacco di cose.
Cose che non vi racconto perchè se no vi dico tutto.



La mia teoria sui libri di Tolkien è che siano incredibili (un po' lunghini) e intensi trattati sull'amicizia, sviscerata in tutte le sue forme. Che poi ci abbia creato intorno un MONDO può anche passare in secondo piano. Ma il modo in cui lui è riuscito a trasmettere l'affetto è caldo.
La prima, enorme, pecca dei film di Jackson (ma parlo solo dei due Hobbit, non del Signore degli anelli) è quella di essere film freddi. Epici, con scenari mozzafiato, azione quasi costante, ma emotivamente quasi vuoti.
Ci sono 13 ometti, con le carattestistiche più sparate, che insieme ne vivono di OGNI, e che soprattutto percorrono un percorso così ostico per lo stesso, importantissimo motivo. Eppure ad ogni inquadratura sembravano messi lì, accozzati insieme senza motivo apparente.
Eppure chi ha letto il libro sa che i nani sono ormai una famiglia, alcuni di loro anche in senso letterale. E non mi è piaciuto che Jackson abbia trascurato la componente emotiva.

Certo, quando Kili non può proseguire il viaggio qualcuno si ferma con lui, ma voglio dire, quello è il minimo.



Altra grande cosa BRUTTA è Sauron. Oh vacco che brutto. No no no, perché? Che bisogno c'era? Era più che sufficiente l'immagine di lui che avevamo già, grazie.
Il passo falso te lo perdono, però adesso basta, vero? Archiviamo la parentesi CGI e facciamo finta che non sia mai esistita. Appoggia il pc, Peter, con calma, appoggialo lì.
Così come brutta era l'Evangeline Lily che non c'azzeccava niente, l'hanno scritta male, con lo spessore di un foglio di carta, brava nelle scene d'azione quanto potrei esserlo io (che sono una pippa), e anche abbastanza antipatica. E sì, lo so che lei non è davvero brutta, era per dire.
Restando nel capitolo 'elfi che non voleva nessuno' credo che Jackson inserisca in ogni film un personaggio della trilogia precedente (Gandalf escluso, chiaramente) per creare una sorta di fil rouge. Lo credo, perché se non fosse così allora non capirei la presenza di Legolas.

A parte ciò, il film conferma lo spettacolo visivo che aveva caratterizzato il primo episodio della trilogia. Se lo dovete guardare a casa non guardatelo neanche. Tutti i film sono studiati per la visione in sala, ok, ma questo secondo me visto in qualsiasi posto che non sia un cinema perde tipo metà del suo valore. Tolkien aveva ideato un mondo splendido, ma tantissimo merito va al Peterone che l'ha reso così bene. Brao, brao.
Menzione speciale alla scena di Bombur nella botte perché ho riso fino alle lacrime e non riuscivo a smettere.
Il risveglio di Smaug è esattamente come lo volevo, e Luca Ward è Luca Ward e basta, il risveglio delle ovaie di tutte le donne del mondo, una voce che ce l'ha lui e basta.
Del mio amore per il personaggio di Bilbo avevo già parlato qui, e confermo anche che Richard Armitage, noto ai più come Thorin Scudodiquercia è carismatico come il Mago Otelma.
Balin tutta la vita.



Detto ciò, io vorrei che tutti voi vi prendeste un mese della vostra vita per leggere Tolkien. Perché scrittori come lui non ne esistono. Non ne sono mai esistiti altri così.
I gossip recenti dicono che anche un certo Dio ha creato un universo intero, una volta.
Non per fare confronti, ma quello di Tolkien mi piace un po' di più.


PS: Sentite Ed Sheeran che canzone ha tirato fuori. Uno splendore.


venerdì 14 settembre 2012

Cimitero vivente, Mary Lambert

12:34

Titolo originale: Pet sematary

Anno: 1989

Durata: 102 minuti

Quando un film è tratto da un libro diventa difficile giudicarlo obiettivamente e separatamente.

Io infatti non ne sono in grado, soprattutto quando parliamo di Stephen King, mio scrittore preferito da sempre. Proviamo comunque, e vediamo come va.

Pet Sematary è un film strano. Anche in questo caso, come spesso accade, l'inizio è un classico: una famiglia si trasferisce in una nuova casa. In questo caso parliamo della famiglia Creed, mamma e papà adorabili con due figlioletti adorabili e un gatto dal nome adorabile. (Churchill, in onore dell'adorabile Winston.) Fin qui, niente di nuovo.
La casa, accidentalmente, sorge vicino a un cimitero degli animali, che a sua volta sorge vicino a un antico cimitero indiano, che secondo la leggenda nasconde un segreto. Sarà la famiglia Creed, a causa di una tragedia familiare, a scoprire questo segreto, pagandone anche le conseguenze.



Sarò sincera, a me questo film è sembrato stopposo. Non è riuscito a colpirmi, non mi ha coinvolta emotivamente. Anche quando avviene la tragedia, mi ha lasciato indifferente. Ecco, credo che la definizione giusta sia 'freddo'. A livello estetico è asettico, troppo pulito. Ovviamente, il coinvolgimento emotivo è soggettivo, e forse sono io il mostro insensibile.

Quasi tutto il film si svolge nei dintorni di questa casa, che pur essendo molto isolata, immersa nel nulla, non riesce a essere inquietante. Pervade un senso di tranquillità che non c'entra nulla. Forse volevano ottenere un contrasto per aumentare l'angoscia successivamente, ma non ha funzionato.
 
 

In certi momenti poi ho trovato che il film fosse appesantito da elementi di cui si poteva tranquillamente fare a meno: il fantasma del ragazzo morto in ospedale, per esempio, o il ruolo di Zelda, la sorella morta della mamma. In un libro è diverso, puoi aggiungere tanti elementi e svilupparli nella maniera che preferisci, ma quando hai a disposizione solo un'ora e mezza rischi di 'inciccionire' il film senza dargli spessore reale. Per esempio, era necessario inserire una RISSA al funerale di un bambino? Non si poteva proprio evitare, siora Lambert?
 
Nel cast non troviamo nomi celebri, il che è spesso un punto a favore, ma ovviamente ci sono le eccezioni. Tipo questo film. La sola cosa che ho apprezzato è stata l'idea di far recitare ad un uomo la parte di Zelda. Di sicuro il trucco usato su di lui funziona, qualche salto sul letto me l'ha fatto fare, è davvero brutto! (O brutta? Beh, il senso è chiaro.) Per contrasto, il personaggio di Gage, il figlio minore della coppia, era interpretato da Miko Hughes, uno dei bambini più belli che io abbia mai visto con delle guance che te le raccomando.
 
 

C'è qualche momento di tensione, ma l'azione successiva è sempre facilmente prevedibile quindi la visione è a tratti noiosa. Oltretutto, il personaggio di Rachel Creed (Denise Crosby), meglio nota come la mamma, è proprio antipatica.
 
Lodevole l'interpretazione di Churchill.

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